Lacrime Pixelate: I 10 Videogiochi più strazianti della storia

Videogiochi che fanno piangere

I videogiochi non sono semplici passatempi, né meri strumenti di evasione. Sono specchi dell'anima, finestre aperte su mondi dove la gioia e il dolore si intrecciano, dove ogni scelta può pesare come un macigno e ogni addio può lacerare il cuore. Nell'illusione dell'interattività, il giocatore non è un osservatore passivo, ma un artefice del proprio tormento, un viandante che percorre sentieri narrativi disseminati di perdita, sacrificio e rimpianto.

Alcuni titoli hanno saputo sfruttare questa forza emotiva con una brutalità quasi poetica, costruendo esperienze che non si dimenticano mai, che restano impresse anche dopo i titoli di coda, come cicatrici su una pelle digitale. Storie di amori spezzati, di legami dissolti, di mondi che si sgretolano davanti ai nostri occhi senza che possiamo far nulla per impedirlo.

Questa è una lista che non celebra la vittoria, ma il peso del fallimento, l'agonia della separazione, la bellezza del dolore. Dieci giochi che hanno fatto piangere milioni di giocatori, ricordandoci che, nel medium videoludico, la tragedia può essere più potente di qualsiasi trionfo.

1. The Last of Us (2013)

Sviluppatore: Naughty Dog

Ci sono giochi che raccontano storie e giochi che ti costringono a viverle. The Last of Us non si limita a narrare un viaggio post-apocalittico: lo incide sulla pelle del giocatore, lo incatena a un mondo dove l'amore e la violenza sono inseparabili, dove ogni legame è un rischio e ogni passo avanti può significare perdere qualcosa di insostituibile.

La prima ferita arriva nei primi minuti di gioco, con una scena d'apertura così brutale da lasciare senza fiato. Sarah, la figlia di Joel, muore tra le sue braccia, vittima non solo del caos che inghiotte il mondo, ma di una crudeltà che sembra arbitraria, ingiusta, insopportabile. Non c'è eroismo, non c'è redenzione. Solo un padre che stringe il cadavere di sua figlia, spezzato da un dolore che lo accompagnerà per il resto della sua esistenza.

Eppure, questa è solo la prima di molte cicatrici. Il viaggio di Joel ed Ellie non è una storia di sopravvivenza nel senso tradizionale: è una meditazione sulla perdita, sul trauma e su cosa siamo disposti a fare per proteggere ciò che ci resta. Ogni incontro lungo la strada porta con sé un frammento di umanità spezzata, dai fratelli Henry e Sam, il cui destino è un colpo al cuore, a Tess e il suo sacrificio, fino a David, che incarna l'orrore puro di un mondo ormai privo di regole.

Ma è nel finale che The Last of Us sigilla la sua eredità nel pantheon delle storie più devastanti mai raccontate nei videogiochi. La scelta di Joel di negare a Ellie la possibilità di un sacrificio che potrebbe salvare l'umanità non è solo un atto d'amore, ma un gesto di egoismo feroce, un rifiuto di accettare ancora una volta la perdita. Il giocatore non sceglie: osserva, impotente, mentre Joel massacra chiunque si opponga alla sua decisione, trasformando l'uomo che abbiamo imparato a comprendere in un carnefice senza rimorso.

E, infine, la domanda sospesa: Ellie crede davvero alla bugia di Joel? O accetta il suo destino con la rassegnazione di chi sa di non avere alternative? Il gioco si chiude con un sussurro di ambiguità, lasciandoci con un peso che non si dissolve nemmeno dopo i titoli di coda. Perché The Last of Us non è solo una storia di zombie o di sopravvivenza. È una riflessione straziante su quanto siamo disposti a perdere per non restare soli.

2. Life is Strange (2015)

Sviluppatore: Dontnod Entertainment

Alcuni racconti parlano di crescita, amicizia e seconde possibilità, ma Life is Strange va oltre. Ogni istante è un battito d'ali in una tempesta inarrestabile, un fragile equilibrio tra il desiderio di cambiare il passato e l'inevitabilità delle conseguenze. Il tempo può essere piegato, ma mai domato, e ogni scelta porta con sé il peso del rimpianto. 

Max Caulfield non è un'eroina nel senso tradizionale. È una ragazza che scopre di poter riavvolgere il tempo, un dono che sembra fatto su misura per correggere gli errori e riscrivere il destino. Ma fin dall'inizio, il gioco insinua un sospetto: cosa significa davvero avere il potere di cambiare il passato? E a quale prezzo?

Il cuore pulsante di Life is Strange è il rapporto tra Max e Chloe, un legame intriso di nostalgia, dolore e speranza. Chloe è un'anima spezzata, una ragazza che ha vissuto troppo e perso troppo presto, un'amica d'infanzia che sembra sospesa tra rabbia e disperazione. Ogni scelta che Max compie la avvicina o la allontana da lei, ma il gioco ci insegna presto una lezione crudele: non esiste un futuro in cui tutti vengano salvati.

La narrazione affronta temi difficili con un realismo brutale. Il suicidio di Kate Marsh, evitabile ma non sempre prevedibile, è un pugno allo stomaco che ci ricorda quanto il dolore possa nascondersi dietro un sorriso. La violenza, l'abuso, la perdita dell'innocenza—Life is Strange non edulcora nulla, ci costringe a guardare in faccia la realtà e ad accettarne le conseguenze.

E poi arriva il momento definitivo, la scelta impossibile: lasciare che Arcadia Bay venga distrutta per salvare Chloe, oppure sacrificare l'unica persona che ha dato senso a tutto. Non c'è gloria, non c'è vittoria. Solo un bivio che pesa come un macigno, che chiede al giocatore di scegliere tra l'amore e il destino, tra il passato e il futuro.

Qualunque sia la decisione, Life is Strange non offre conforto. Se Chloe vive, il mondo brucia e il senso stesso del sacrificio diventa irreversibile. Se Chloe muore, Max resta con un vuoto impossibile da colmare, con il suono del vento e la consapevolezza che alcune cose non possono essere cambiate, per quanto lo si desideri.

Alla fine, ciò che resta non è solo una storia, ma un'esperienza che scava a fondo nell'anima. Perché Life is Strange non chiede solo di giocare, chiede di sentire.

3. Red Dead Redemption 2 (2018)

Sviluppatore: Rockstar Games

La storia di Arthur Morgan non è un'epopea di eroi e vittorie, ma il racconto di un'inevitabile discesa. Red Dead Redemption 2 dipinge un mondo che sta scomparendo e un uomo che cerca disperatamente di trovare il proprio posto prima che sia troppo tardi. Non è solo un western, ma una meditazione sulla mortalità, sulla colpa e sulla speranza di una redenzione che forse non arriverà mai. 

Arthur è un uomo segnato dal tempo e dai peccati. Nato e cresciuto nella violenza della banda di Dutch van der Linde, ha vissuto con la pistola in pugno, convinto di essere parte di qualcosa di più grande. Ma il mondo cambia, e con esso cambiano le illusioni. Rockstar Games costruisce una lenta discesa verso l'inevitabile, un viaggio in cui Arthur non si limita a combattere per la sopravvivenza, ma si scontra con la verità su sé stesso, sui suoi compagni e sul sogno infranto della frontiera.

Il colpo più duro arriva quando Arthur scopre di essere condannato, non da una pallottola nemica, ma dalla tubercolosi—una malattia silenziosa, implacabile, che lo divora giorno dopo giorno. Improvvisamente, ogni azione assume un peso diverso. Le rapine, le fughe, le sparatorie: tutto perde significato di fronte alla certezza della fine. E in questo abisso, Arthur trova qualcosa di più grande della violenza: la possibilità di redenzione.

La grandezza di Red Dead Redemption 2 sta nel modo in cui lascia al giocatore la libertà di decidere che tipo di uomo sarà Arthur nei suoi ultimi giorni. Potrà vivere come ha sempre fatto, con il sangue sulle mani e la vendetta nel cuore, o potrà scegliere di lasciare qualcosa di buono dietro di sé, aiutando John Marston e la sua famiglia a sfuggire all'inevitabile destino della banda. Ma qualunque strada si scelga, l'epilogo è sempre lo stesso: Arthur Morgan non sopravvive.

Eppure, la sua morte non è solo una fine. È un ultimo atto di libertà, un respiro nell'aria gelida della montagna mentre il sole sorge su un mondo che non lo ricorderà, ma che forse, per un momento, è stato migliore grazie a lui. Rockstar non ci concede un lieto fine, ma ci regala una delle più struggenti conclusioni mai viste in un videogioco, un addio che pesa come un macigno e che lascia il giocatore con una domanda che echeggia ben oltre i titoli di coda: può un uomo come Arthur Morgan davvero trovare la redenzione?

4. To the Moon (2011)

Sviluppatore: Freebird Games

Non servono mondi immensi o battaglie spettacolari per creare un'esperienza indimenticabile. To the Moon lo dimostra con la sua semplicità, trasformando una narrazione intima in un viaggio emozionale profondo. Attraverso una grafica essenziale e una durata contenuta, questo piccolo capolavoro esplora il rimpianto, l'amore e il valore della memoria con una delicatezza rara. 

Il gioco segue due scienziati della Sigmund Corp., Eva Rosalene e Neil Watts, il cui compito è esaudire il desiderio di un uomo morente alterando i suoi ricordi. Johnny Wyles, il paziente, ha un ultimo desiderio prima di spirare: andare sulla Luna. Ma perché proprio la Luna? Cosa nasconde il suo passato? E cosa significherà, davvero, esaudire il suo desiderio?

L'indagine tra i frammenti della sua memoria porta a una rivelazione tanto devastante quanto poetica. Johnny ha vissuto un'esistenza segnata da perdite, incomprensioni e momenti di felicità mai pienamente compresi. Il cuore della sua storia è River, la moglie che lo ha amato con una devozione silenziosa e che, a modo suo, ha cercato disperatamente di farsi ricordare. La loro relazione è un mosaico di gesti sottili, di promesse non dette, di un dolore che si insinua tra le pieghe della quotidianità.

Ma il vero colpo al cuore arriva quando si scopre la verità dietro il desiderio di Johnny. To the Moon non parla solo di un uomo che vuole realizzare un sogno impossibile, ma di una mente che ha dimenticato ciò che contava di più, di un amore che ha rischiato di perdersi nell'oblio. Il lavoro dei due scienziati non è solo quello di esaudire la sua richiesta, ma di ricostruire ciò che il tempo ha cancellato, di riportare Johnny là dove tutto è iniziato, permettendogli di vivere, almeno nei suoi ultimi istanti, la vita che avrebbe sempre dovuto avere.

E mentre la colonna sonora—uno dei più struggenti accompagnamenti musicali mai scritti per un videogioco—cresce in intensità, il giocatore osserva un addio che è, al tempo stesso, un nuovo inizio. Johnny, finalmente, raggiunge la Luna. Ma più di tutto, trova River, e con lei, il frammento di sé stesso che aveva smarrito.

Quando la schermata si oscura e i titoli di coda scorrono, To the Moon lascia dietro di sé un vuoto dolceamaro, una riflessione sulla memoria, sull'amore e sul significato della vita stessa. Perché, alla fine, non sono i sogni grandiosi a definire chi siamo, ma i legami che ci accompagnano fino all'ultimo respiro.

5. Brothers: A Tale of Two Sons (2013)

Sviluppatore: Starbreeze Studios

Ci sono giochi che raccontano una storia, e poi ce ne sono altri che trasformano la narrazione in esperienza pura, in un linguaggio che non ha bisogno di parole per colpire al cuore. Brothers: A Tale of Two Sons riesce a fare proprio questo: prendere il giocatore per mano, fargli sentire il peso di ogni passo, e poi, senza preavviso, spezzargli il cuore.

La trama è semplice solo in apparenza: due fratelli partono per un viaggio disperato alla ricerca di una cura per il padre morente. Ma Brothers non è solo una favola d'avventura: è un'odissea emotiva che esplora il legame tra fratelli, la perdita e la crescita attraverso il dolore. La genialità del gioco sta nel suo sistema di controllo: ogni fratello è gestito da un diverso stick analogico, costringendo il giocatore a coordinare entrambi contemporaneamente, creando un'intimità fisica con i personaggi che pochi giochi riescono a raggiungere.

E poi arriva il momento che distrugge tutto. Il fratello maggiore, la colonna portante dell'intero viaggio, muore. Non c'è modo di evitarlo, non c'è soluzione. È un colpo al cuore, e non solo per la narrazione, ma per il gameplay stesso. Il controller diventa improvvisamente muto a metà, lasciando il giocatore con una mano vuota, con un'assenza che pesa tanto quanto la perdita del personaggio.

Ma il vero colpo di genio arriva alla fine. Il fratello minore, ora solo, deve affrontare l'ultima parte del viaggio senza il suo protettore. E quando deve attraversare un fiume profondo—un ostacolo che prima non poteva superare da solo—il gioco costringe il giocatore a premere il pulsante che prima serviva per far nuotare il fratello maggiore. È un momento devastante e geniale, perché il giocatore ha passato l'intero gioco a dipendere da quel comando, e ora, in un atto di puro simbolismo, il fratello minore deve trovare la forza di andare avanti da solo.

Non ci sono grandi discorsi, non ci sono spiegazioni. Solo silenzio, assenza e un vuoto che non può essere colmato. Brothers non racconta solo una storia di sacrificio, ma fa vivere la perdita in un modo che solo un videogioco può fare, trasformando il dolore in un meccanismo ludico, rendendolo reale, tangibile.

Quando tutto finisce, resta solo un senso di sopravvivenza amara, la consapevolezza che crescere significa, a volte, lasciare andare chi si ama. E questa è una lezione che non si dimentica facilmente.

6. Final Fantasy VII (1997)

Sviluppatore: Square Enix

Ci sono momenti nei videogiochi che trascendono il medium stesso, scene che rimangono impresse nella memoria collettiva e che, anche a distanza di anni, continuano a suscitare emozioni profonde. La morte di Aerith in Final Fantasy VII non è solo un evento narrativo: è un colpo al cuore che ha segnato un'intera generazione di giocatori, un momento in cui la realtà virtuale ha saputo evocare un dolore fin troppo reale.

Il viaggio di Cloud e dei suoi compagni è una lotta disperata per salvare il pianeta da Sephiroth e dalla minaccia del Meteor. Tra battaglie epiche e rivelazioni sconvolgenti, il gruppo trova in Aerith una luce di speranza, una figura che incarna il sacrificio e la purezza. Ma la sua missione la porta a scontrarsi direttamente con il destino, e quando si inginocchia per pregare nella Città degli Antichi, il giocatore non ha modo di fermare ciò che sta per accadere.

L'arrivo improvviso di Sephiroth, la spada che cala implacabile, lo sguardo di Aerith che si spegne senza un grido, senza un ultimo addio—è un momento di silenzio assordante, una ferita che il gioco non tenta nemmeno di addolcire. Non c'è modo di salvarla, non c'è resurrezione, nessun trucco narrativo che annulla la perdita. È una morte definitiva, e proprio per questo indelebile.

Ma ciò che rende questa scena ancora più devastante è la reazione di Cloud. Il modo in cui la prende tra le braccia, il tremolio nella sua voce mentre cerca di capire se sta sognando o se è tutto vero, l'acqua che si increspa mentre il suo corpo scivola via—Final Fantasy VII non si limita a mostrare una morte, la fa sentire.

Da quel momento in poi, il viaggio cambia. Sephiroth non è più solo un nemico, ma l'incarnazione di una perdita che non può essere perdonata. Eppure, la presenza di Aerith non svanisce del tutto. Il suo sacrificio non è vano, e nel momento finale, quando il mondo è sul punto di essere distrutto, il suo spirito sembra ancora vegliare sul destino del pianeta.

Final Fantasy VII ha raccontato molte storie di dolore e redenzione, ma nessuna scena ha avuto l'impatto della morte di Aerith. È il momento che ha ridefinito il concetto di tragedia nei videogiochi, dimostrando che le perdite più grandi non sono quelle che possiamo evitare, ma quelle che dobbiamo imparare a portare con noi.

7. Shadow of the Colossus (2005)

Sviluppatore: Team Ico

Alcune storie vengono raccontate attraverso le parole, altre attraverso il silenzio. Shadow of the Colossus sceglie quest'ultima via, lasciando che siano l'assenza, la vastità e la solitudine a parlare. In un mondo desolato, dove colossi maestosi si ergono come dèi dimenticati, ogni battito del cuore del protagonista lo spinge un passo più vicino alla propria rovina. 

Wander non è un eroe, ma un ragazzo disperato, disposto a sfidare l'impossibile per riportare in vita Mono, la giovane che giace immobile sull'altare del tempio. Una voce misteriosa, Dormin, gli promette un miracolo: abbattere sedici colossi e la sua richiesta sarà esaudita. Sembra un'impresa eroica, ma fin dal primo scontro il gioco insinua un dubbio sottile e inquietante: ogni vittoria non è un trionfo, ma una condanna.

I colossi non sono mostri. Non cercano di attaccare Wander, non distruggono il mondo, non incarnano il male. Alcuni si difendono solo se provocati, altri sembrano quasi tristi nel dover combattere. Eppure, uno dopo l'altro, cadono tutti, accompagnati da una musica che non celebra la gloria, ma trasmette un senso di colpa crescente. Ogni volta che Wander trafigge un colosso, qualcosa dentro di lui si spezza. Il suo corpo si deteriora, la sua pelle impallidisce, la sua anima sembra svanire pezzo dopo pezzo.

E poi arriva la rivelazione finale, il colpo di scena che trasforma l'intera avventura in una tragedia inevitabile. Wander non è mai stato il salvatore di Mono, ma lo strumento di una forza oscura. Con ogni colosso abbattuto, ha liberato frammenti di Dormin, un'entità proibita sigillata secoli prima. Quando l'ultimo gigante cade, il protagonista non è più umano. Il suo corpo si trasforma in un'ombra colossale, il suo destino ormai segnato.

La scena conclusiva è dolceamara e straziante. Dormin viene nuovamente imprigionato, ma Wander, ormai ridotto a poco più di un'eco, viene risucchiato nel sigillo, lasciando dietro di sé solo un fragile barlume di speranza: Mono si risveglia, e con lei c'è un neonato con corna, forse la reincarnazione di Wander, forse una nuova possibilità per il futuro.

Shadow of the Colossus è un'opera che mette in discussione il concetto stesso di eroismo e sacrificio. Non ci sono dialoghi esplicativi, nessuna morale dichiarata, solo un viaggio che diventa sempre più pesante, un mondo che si svuota con ogni vittoria, un protagonista che si consuma fino a scomparire. Alla fine, non resta che una domanda: vale davvero la pena sfidare il destino per riportare in vita chi amiamo, se il prezzo è la nostra stessa anima?

8. The Walking Dead: Season 1 (2012)

Sviluppatore: Telltale Games

La sopravvivenza non è solo una questione di resistere, ma di trovare un motivo per andare avanti. The Walking Dead: Season 1 non si limita a raccontare un'apocalisse zombie, ma scava nel significato stesso della vita attraverso il legame tra Lee Everett e Clementine. Questa relazione non è solo il centro della storia, ma il fulcro emotivo che dà peso a ogni decisione, rendendo ogni sacrificio e ogni scelta un colpo al cuore del giocatore. 

Lee è un uomo con un passato segnato dagli errori. Clementine è una bambina che ha perso tutto. Quando il destino li unisce, non diventano semplicemente compagni di viaggio: Lee diventa il padre che Clementine non ha più, e Clementine diventa la speranza che Lee credeva di aver perso. The Walking Dead non è un gioco di eroi, ma di persone comuni costrette a fare l'impossibile per proteggere ciò che resta della propria umanità.

Ogni episodio porta con sé scelte difficili, spesso senza una soluzione giusta o sbagliata, solo conseguenze che si accumulano fino all'inevitabile tragedia. E poi arriva il momento che nessuno vuole affrontare: Lee viene morso. Non c'è cura, non c'è via d'uscita. L'unico obiettivo rimasto è preparare Clementine a sopravvivere senza di lui.

Il finale è uno dei più strazianti mai raccontati in un videogioco. Lee, ormai debole e morente, guida Clementine fino all'ultimo istante, insegnandole ancora una volta che la forza non sta solo nelle armi, ma nelle scelte che facciamo per proteggere chi amiamo. Poi arriva la decisione più difficile: lasciare che Lee si trasformi, o porre fine alla sua vita con un colpo di pistola. Non importa quale opzione si scelga, il dolore è lo stesso. Clementine resta sola, ma con la consapevolezza che, grazie a Lee, è pronta ad affrontare il mondo.

The Walking Dead: Season 1 non è un gioco sull'apocalisse zombie. È una storia di amore, di perdita e di crescita, un racconto che ha commosso milioni di giocatori perché ci ricorda che, anche nella disperazione più totale, ciò che conta davvero non è quanto a lungo viviamo, ma cosa lasciamo alle persone che amiamo.

9. What Remains of Edith Finch (2017)

Sviluppatore: Giant Sparrow

What Remains of Edith Finch intreccia vita e morte in un mosaico di memoria, perdita e destino. Ogni frammento della storia familiare si trasforma in un'esperienza interattiva, dove il passato prende forma attraverso meccaniche uniche. Non è solo un racconto di sventura, ma un viaggio malinconico che trasforma ogni ricordo in un'eco emotiva impossibile da dimenticare. 

Edith Finch, l'ultima discendente di una famiglia perseguitata dalla sfortuna, ritorna nella casa d'infanzia per scoprire cosa sia realmente accaduto ai suoi parenti. Ogni stanza custodisce la storia di una vita spezzata, ogni diario, fotografia o giocattolo è una finestra su un passato che si rifiuta di essere dimenticato. Ma ciò che rende il gioco straordinario è il modo in cui ogni racconto viene vissuto: ogni morte ha il suo stile, ogni tragedia ha il suo linguaggio interattivo, trasformando le storie della famiglia Finch in esperienze uniche e intime.

C'è la storia di Lewis, intrappolato in una routine alienante, la cui mente si rifugia in un mondo immaginario fino a consumarlo del tutto. C'è Molly, una bambina che si trasforma in diversi animali in un sogno che diventa incubo. C'è Gregory, un neonato la cui breve esistenza viene raccontata attraverso un bagno che si trasforma in un gioco acquatico. Ognuno di loro ha una fine inevitabile, ma ciò che resta non è solo il dolore della perdita, bensì la bellezza del ricordo.

E poi c'è Edith, l'ultima Finch, il testimone di tutte queste storie, che raccoglie i frammenti della sua famiglia per cercare di dare un senso alla maledizione che li ha colpiti. Ma la verità è che non esiste una risposta definitiva. Forse i Finch non erano maledetti. Forse erano semplicemente persone normali, le cui vite sono state troppo brevi, ma piene di sogni, speranze e momenti di pura bellezza.

Il gioco non offre una conclusione consolatoria. Alla fine, Edith stessa diventa parte della storia che stava cercando di raccontare. Ma ciò che rimane non è solo la tragedia della famiglia Finch, ma il modo in cui le loro vite continuano a esistere nei ricordi. What Remains of Edith Finch non è una storia sulla morte, ma sull'importanza di ricordare, sul modo in cui le persone che amiamo vivono ancora nelle storie che raccontiamo su di loro.

10. NieR: Automata (2017)

Sviluppatore: PlatinumGames

Ci sono giochi come NieR: Automata, che non si accontentano di chiederci cosa significhi essere vivi, ma ci fanno sentire il peso della risposta. Attraverso il viaggio di 2B, 9S e A2, questa opera non racconta solo una storia di guerra tra androidi e macchine, ma un'esplorazione profonda del significato dell'esistenza stessa.

In un mondo devastato, privo di esseri umani, i protagonisti sono androidi progettati per combattere in una guerra apparentemente senza fine. Ma mentre il gioco prosegue, emergono domande sempre più inquietanti: se gli umani sono scomparsi, per chi stanno davvero combattendo? Qual è lo scopo della loro esistenza? La verità che si svela lentamente è devastante: non c'è più nulla da proteggere, solo un ciclo infinito di conflitti privi di senso, un'illusione costruita per dare agli androidi uno scopo.

Ma NieR: Automata non si limita a raccontare una storia cupa e nichilista. Ogni morte, ogni sacrificio, ogni perdita costruisce un percorso che porta il giocatore a desiderare qualcosa di più, una speranza oltre l'inevitabile distruzione. E questa speranza arriva nel "Finale E", l'apice emotivo dell'intero viaggio.

Dopo aver assistito alla fine tragica dei protagonisti, il giocatore si trova davanti a un ultimo ostacolo: un minigioco in cui deve abbattere i titoli di coda stessi, una metafora potente della lotta contro il destino. È un'impresa quasi impossibile, finché il gioco stesso non offre un aiuto inaspettato: altri giocatori, sconosciuti che hanno già completato il loro percorso, si sacrificano per dare una possibilità a chi sta ancora lottando. E poi arriva la scelta finale, la più crudele e meravigliosa di tutte: cancellare il proprio salvataggio per aiutare qualcun altro a vedere il vero finale.

In quel momento, NieR: Automata trasforma la sua tragedia in un messaggio di speranza, dimostrando che, anche in un mondo senza scopo, gli atti di altruismo danno significato all'esistenza. Non importa se tutto è destinato a finire—ciò che conta è il legame che si crea tra chi sceglie di non arrendersi.

Alla fine, NieR: Automata non chiede solo di riflettere sulla propria umanità. Ci mette alla prova, ci sfida a dimostrare che, anche in un mondo senza speranza, vale ancora la pena lottare per qualcosa di più grande di noi stessi.

Conclusione: Lacrime

Questi giochi dimostrano che i videogame non sono solo un modo per schiacciare pulsanti e distruggere pixel, ma vere e proprie esperienze emotive in grado di esplorare temi profondi e universali. Chi ancora pensa che i videogiochi siano solo "giochi" probabilmente non ha mai provato l'agonia di perdere Aerith, il senso di colpa dopo aver abbattuto un colosso o la disperazione di dover dire addio a Lee Everett con la voce rotta dal pianto.

Come un buon libro o un grande film, i videogiochi possono commuovere, far riflettere e lasciare un segno indelebile. Certo, possono anche farti lanciare il controller contro il muro (grazie, Dark Souls), ma è il prezzo da pagare per un'esperienza che va oltre il semplice intrattenimento.

E ora la domanda più importante: hai mai pianto per un videogioco? Se la risposta è no, probabilmente dovresti provare uno di quelli in questa lista. Se la risposta è sì… beh, benvenuto nel club delle lacrime da videogioco, dove ci confortiamo a vicenda ripensando a That Dragon, Cancer o al "Finale E" di NieR: Automata. Passano gli anni, passano le console, ma certe emozioni restano per sempre.

Nero d'Ombra



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