Victor Victoria (1982, Blake Edwards)

Descrizione

La Parigi degli anni '30 si svela come un palcoscenico di specchi deformanti, dove Victoria Grant volteggia tra le identità come una farfalla tra fiori velenosi. I cabaret brillano di luci artificiali mentre lei si trasforma nel Conte Victor, ogni gesto studiato come una partitura musicale segreta.

King Marchand osserva questo spettacolo di metamorfosi con occhi febbrili, il suo desiderio si contorce come fumo di sigaretta in un locale notturno. Il suo cuore vacilla tra certezze infrante, mentre cerca di decifrare l'enigma che danza sul palco in smoking e rossetto.

Toddy orchestra questa commedia dell'assurdo come un direttore d'orchestra impazzito, le sue battute scintillano nell'aria come lamette nascoste in piume di struzzo. I nightclub parigini diventano teatri dell'assurdo, dove ogni identità è fluida come champagne versato in coppe di cristallo.

Norma irrompe in scena come un uragano biondo, la sua voce perfora il velluto della notte come un trapano impazzito. La sua presenza è un monito: la natura non tollera il vuoto, ma ama gli eccessi.

Il finale esplode in una cascata di rivelazioni, mentre Victoria emerge dalla sua crisalide di inganni come una fenice in paillettes. L'amore trionfa in un turbine di identità liberate, mentre la musica di Mancini avvolge ogni cosa in un abbraccio sofisticato.

Giudizio critico

Victor Victoria rappresenta il vertice della commedia sofisticata anni '80. Edwards trasforma una premessa potenzialmente farsesca in un'elegante riflessione sull'identità e l'amore. Con un budget considerevole, il film riesce a fondere commedia, musica e critica sociale in un cocktail perfettamente bilanciato. Resta un caposaldo del cinema che sfida le convenzioni di genere, dimostrando come si possa essere provocatori con stile ed eleganza.