Perchè difendere una pianta

In una fredda mattina di gennaio, mentre i termosifoni dell'aula magna cercano di contrastare il gelo che filtra dalle vetrate antiche, prendo la parola. «Oggi voglio parlarvi di libertà.»
Cammino lentamente tra i banchi; i miei passi, scanditi dalle scarpe di cuoio consumato, accompagnano i pensieri con buffi scricchiolii. L'aria è carica di aspettativa, il termine che ho utilizzato è uno di quelli che rimbombano nella testa quanto nello stomaco, al pari di "amore", o "aperitivo".
«La libertà, vedete, è come questa pianta di cannabis di cui tanto si discute. Cresce spontanea da millenni, ignorando leggi e proibizioni. Mi fa sorridere l'idea che l'uomo possa davvero pensare di mettere un lucchetto alla natura stessa.»
Sofia, una delle studentesse più attente, alza la mano. «Professore, sta dicendo che il controllo sulla natura è un preludio al controllo sulle persone?»
Mi fermo accanto alla cattedra e rispondo. «Esattamente, Sofia. Ogni volta che accettiamo una limitazione arbitraria sulla natura, rinunciamo a un pezzo della nostra libertà.»
Dal fondo dell'aula, Claudio commenta con il suo solito tono ironico: «Quindi lei si fa le canne, prof?»
Le risate si diffondono tra i ragazzi. Con calma mi tolgo gli occhiali, li pulisco, e ribatto. «Vedi, Claudio, questa tua battuta riflette proprio i pregiudizi di cui stiamo parlando. Potrei risponderti sì o no, ma non è questo il punto. Pensa: io non posso rimanere incinto, eppure sono convinto che le donne debbano avere piena autonomia sul proprio corpo. Non serve essere direttamente coinvolti in una battaglia per comprenderne l'importanza.»
Mi avvicino alla lavagna e scrivo in grandi lettere: LINGUAGGIO. «Le parole che scegliamo tradiscono i nostri pregiudizi. Dire "farsi le canne" banalizza e ridicolizza. Invece, dovremmo parlare di autodeterminazione, di libertà di scelta consapevole, di diritti individuali.»
Sofia interviene di nuovo: «Come nel dibattito sull'aborto, professore?»
«Esattamente. Il meccanismo è lo stesso: il controllo del corpo e della libertà individuale, mascherato da preoccupazione morale. La storia ci insegna che ogni volta che qualcuno ha tolto libertà, lo ha fatto "per il nostro bene".»
Mi siedo sul bordo della cattedra, un gesto che i miei studenti associano a un momento di riflessione. «La biochimica ci insegna che ogni elemento naturale ha una sua funzione. Chi siamo noi per decidere cosa è accettabile e cosa no, basandoci su pregiudizi e non su evidenze scientifiche?»
Claudio, questa volta più serio, alza la mano. «Ma ci sono sostanze naturali che sono pericolose…»
Annuisco. «Ottima osservazione. Ma c'è una differenza: alcune restrizioni nascono da evidenze scientifiche, non da moralismi. Il veleno di un fungo può ucciderti: questo è un fatto. Ma quando iniziamo a proibire in base a pregiudizi o interessi nascosti, entriamo in un terreno scivoloso.»
Mi alzo e mi avvicino alla finestra. Fuori, il cielo invernale è di un grigio metallico. «Ogni erosione della libertà comincia con piccoli passi: una pianta, un'idea, un diritto. È come un domino. Una tessera cade, e presto le altre la seguono.»
Claudio torna alla carica: «Ok, prof, ma allora eroina e cocaina? Anche quelle sono naturali, almeno nei suoi componenti. Dovremmo accettarle?»
Mi volto verso di lui con un sorriso. «Una domanda importante, Claudio, e decisamente necessaria.»
Torno alla cattedra, appoggiando le mani sul legno. «Vedete, non si tratta solo di ciò che vietiamo, ma del perché le persone cercano rifugio in certe sostanze. L'abuso – e sottolineo la parola abuso – non è circoscritto alle sostanze illegali. Guardatevi intorno: c'è chi si distrugge con l'alcol, perfettamente legale, o con il tabacco, venduto ovunque. Ci sono disturbi alimentari come la bulimia o l'anoressia, e dipendenze da cibo spazzatura. E poi, pensiamo alle armi.»
Prendo il gesso e scrivo ARMI sulla lavagna. «In alcuni paesi il possesso di armi è legale. Eppure, a cosa servono se non a uccidere? Non c'è ambiguità qui. Eppure, nessuno si ferma a riflettere su questo.»
Sollevo lo sguardo verso la classe. «L'abuso è un segnale. È il sintomo di un vuoto interiore che cerchiamo di colmare: con cibo, droghe, alcol o violenza. Ma vietare quel tentativo non cura il vuoto, non affronta il disagio.»
Claudio è pensieroso. «Quindi, secondo lei, tutto dovrebbe essere permesso?»
«Non è così semplice. Chi ha un vuoto dentro non si ferma davanti a un divieto. Può finanziare la criminalità organizzata per ottenerlo, oppure rifugiarsi in ciò che la società accetta: alcol, psicofarmaci, cibo compulsivo. Il punto è: vogliamo curare il sintomo o affrontare la causa?»
Sulla lavagna aggiungo due parole: DISAGIO e SINTOMO. «Il proibizionismo cerca vanamente di curare la febbre, ma ignora l'infezione. Per questo dovremmo puntare su due cose fondamentali: informazione ed educazione.»
Faccio una pausa, lasciando che il concetto si depositi. Poi continuo, fissando gli studenti negli occhi. «Ed è proprio questo che spaventa i potenti: persone informate ed educate. Perché un popolo che sa, che comprende, non è controllabile. Non si lascia manipolare dalle paure, non accetta divieti senza senso. L'informazione e l'educazione sono le chiavi per distruggere ogni sistema di oppressione.»
Claudio insiste. «E cosa c'entra tutto questo con la libertà?»
Mi siedo di nuovo. «La libertà, Claudio, è la forma più alta di disciplina. La biochimica ci mostra che ogni cellula del nostro corpo è libera di svolgere il suo compito proprio perché rispetta un equilibrio. Quando una cellula smette di collaborare, diventa cancerosa. Non è più libera: è schiava della sua stessa crescita incontrollata.»
Torno alla finestra, osservando il cortile e gli alberi spogli. «La vera libertà è questa: autodeterminarsi consapevolmente, comprendendo che siamo parte di un tutto. Non significa fare ciò che si vuole senza limiti, ma scegliere i confini con saggezza, rispettando gli altri.»
Sofia, incuriosita, chiede: «Quindi, professore, come definirebbe la libertà?»
Mi avvicino alla lavagna e disegno una cellula. «Pensate alla membrana cellulare: lascia entrare ciò che serve alla vita e respinge ciò che la danneggia. Non è un muro, ma un confine intelligente. La libertà funziona così: non è assenza di limiti, ma capacità di scegliere consapevolmente. E questo lo si può fare solo dopo aver ricevuto un'attenta educazione informata.»
Le particelle di polvere danzano nella luce che entra dalle finestre. «Ogni libertà che permettiamo ci venga tolta, anche la più piccola, è una crepa nel tessuto che protegge tutte le altre. Se accettiamo che ci venga detto cosa possiamo coltivare, domani potrebbero dirci come vestire, cosa pensare, chi e come amare. Vi suonano familiari questi divieti? Certo che sì.»
Mi volto verso la classe, concludendo: «La libertà è come l'acqua. Se non la difendiamo fino all'ultima goccia, un giorno ci ritroveremo nel deserto. E nel deserto, anche respirare diventa un lusso che i potenti ci venderanno a caro prezzo.»
Prof. Marcus Theurel