Nosferatu

Data di uscita: 01 gennaio 2025

Genere: Drammatico, Horror

Regia: Robert Eggers

Attori: Aaron Taylor-Johnson, Nicholas Hoult, Bill Skarsgård, Willem Dafoe, Ralph Ineson, Lily-Rose Depp, Emma Corrin, Simon McBurney, Paul A Maynard, Stacy Thunes

Paese: USA, Repubblica Ceca

Durata: 132 min

Distribuzione: Universal Pictures

Sceneggiatura: Robert Eggers

Fotografia: Jarin Blaschke

Montaggio: Louise Ford

Produzione: Focus Features, Stillking Films, Studio 8

Nosferatu: Il Vampiro nell'Era del Digitale 

Nel freddo gennaio 2025, mentre le sale si preparano ad accogliere una nuova incarnazione del principe non-morto, l'ombra di Nosferatu ritorna a incombere sul panorama cinematografico. Robert Eggers, regista già noto per il suo legame con il soprannaturale in The Witch e The Lighthouse, si misura con una delle eredità più pesanti della storia del cinema horror europeo.

La vicenda di Nosferatu è avvolta da maledizioni, tanto reali quanto cinematografiche. Quando nel 1922 Florence Stoker intraprese la sua battaglia legale contro la Prana-Film, non poteva prevedere che quel conflitto avrebbe dato vita a un'entità persino più potente di Dracula. Friedrich Wilhelm Murnau, costretto a modificare nomi e ambientazioni, trasformò il vampiro in un essere più primordiale: Orlok, con le sue dita simili a zampe di ragno e il volto da roditore, che ancora oggi infesta gli incubi del grande schermo.

Il cinema espressionista tedesco trovò in Nosferatu la sua massima espressione: ombre deformate, geometrie impossibili e un'estetica dell'orrore che continua a influenzare il linguaggio del genere. Max Schreck, l'attore che diede forma per la prima volta a Orlok, divenne oggetto di miti e leggende. Si vociferava che Murnau avesse ingaggiato un vero vampiro per il ruolo, un'idea alimentata dal suo comportamento solitario sul set e dalla sua misteriosa scomparsa pochi anni dopo.

Werner Herzog, consapevole del fascino leggendario di questa figura, scelse Klaus Kinski per il remake del 1979, un attore altrettanto avvolto da un'aura di follia. Durante le riprese, Kinski adottò uno stile di vita che lo rese quasi indistinguibile dal suo personaggio: emergeva dalla roulotte solo al tramonto, già immerso nel ruolo. La sua interpretazione trasformava il mostro in un'anima tragica, condannata a una fame eterna che non poteva mai essere placata.

Arriviamo così alla visione di Eggers. Bill Skarsgård, discendente di una dinastia di attori nordici, incarna questa nuova iterazione del vampiro come un predatore affamato di luce. La Transilvania di Eggers si presenta come un dipinto romantico, animato da visioni febbrili: ogni inquadratura è una composizione pittorica che richiama le opere di Friedrich, con i Carpazi che si ergono come lame contro cieli cupi e le foreste che sembrano respirare un'aria carica di follia.

La fotografia di Blaschke avvolge lo spettatore in un'atmosfera gelida, culminando nella sequenza della carrozza verso il castello. Qui, il suono degli zoccoli si trasforma in un battito accelerato, mentre gli alberi contorti si inchinano al passaggio del conte, avvolti in una nebbia strisciante. È un viaggio che immerge lo spettatore in un mondo dominato dall'oscurità.

Nicholas Hoult e Lily-Rose Depp assumono i ruoli che furono di von Wangenheim e Schröder, muovendosi in un contesto gotico che sembra fin troppo consapevole della propria eredità. Willem Dafoe, nel ruolo di un cacciatore di vampiri che pare uscito da un incubo di Maupassant, aggiunge una nota di follia controllata a un film che a tratti si perde nei suoi virtuosismi tecnici.

Le sequenze di predazione sono coreografate come danze rituali, ma il ricorso massiccio alla CGI nelle trasformazioni del conte compromette quella materialità disturbante che rendeva indimenticabili gli effetti pratici del passato. Murnau generava terrore con una semplice ombra proiettata su un muro, Herzog con il volto devastato di Kinski. Eggers sceglie un'inondazione di effetti digitali che, paradossalmente, risultano meno convincenti rispetto ai trucchi rudimentali di un secolo fa.

Il finale, che cerca di combinare l'erotismo mortifero dell'originale con riflessioni moderne sulla natura del male, si diluisce in un vortice di effetti visivi che ne riducono l'impatto emotivo. La morte di Ellen, un momento di sacrificio sublime nell'originale, qui si trasforma in uno spettacolo visivo che soffoca la tensione sotto strati di pixel.

Eggers arricchisce la narrazione con riferimenti al folklore vampiresco dell'Europa orientale, dalla strigoi rumena al upir slavo, creando un tessuto antropologico interessante ma non sempre incisivo. Le scene ambientate nei villaggi carpatici, per quanto ben ricostruite, rallentano il ritmo senza aumentare la tensione. Sembra che il regista, nel tentativo di rendere omaggio a ogni aspetto della tradizione vampiresca, finisca per perdersi nell'abbondanza di dettagli.

Il risultato è un'opera tecnicamente impeccabile, ma distante sul piano emotivo, come un'analisi accademica sul terrore piuttosto che un'esperienza di paura viscerale. Il Nosferatu di Eggers rimane intrappolato nella sua perfezione formale, incapace di raggiungere quella profondità che ha reso immortali i suoi predecessori. Come Orlok all'alba, si dissolve nella luce del proprio virtuosismo, lasciandoci con il desiderio di un cinema più essenziale e spaventoso.

La Transilvania di Eggers è un teatro di orrori arcaici, dove ogni pietra del castello porta le tracce di antiche tragedie. La macchina da presa si muove come un predatore silenzioso, esplorando corridoi in cui il suono dei passi si moltiplica in infiniti echi. Le scene nel maniero rendono omaggio al gotico della Hammer Films, con una sensualità latente reinterpretata attraverso una sensibilità più moderna e intellettuale.

La trama segue lo schema originale: Thomas Hutter, inviato in Transilvania per concludere un affare immobiliare, lascia la moglie Ellen a Wisborg, tormentata da visioni profetiche. Eggers arricchisce la narrazione con dettagli che piaceranno ai cinefili: i ratti che invadono la città richiamano direttamente Herzog, mentre le scene nel castello evocano gli incubi di Dreyer.

La sequenza dell'arrivo al castello è straordinaria: la carrozza nera si staglia contro un cielo violaceo, mentre i cavalli sembrano correre sul bordo di un abisso. Il conte appare come un'ombra sulla soglia, le sue dita artigliate che si protendono verso l'ospite come rami scheletrici mossi dal vento. Skarsgård incarna lo spirito di Schreck con movimenti meccanici e innaturali che suggeriscono un'esistenza al di là del tempo.

Il film dà il meglio di sé nelle scene intime: gli sguardi tra il conte e Ellen, il terrore di Hutter di fronte alla vera natura del suo ospite, i mormorii dei villici al calar del sole. Qui Eggers dimostra una notevole abilità nel costruire il terrore psicologico, avvicinandosi ai maestri del passato.

La pellicola raggiunge il suo culmine nella sequenza della peste: i ratti invadono Wisborg come un'onda vivente, emergendo dalle fogne e infestando ogni angolo della città. La fotografia di Blaschke trasforma ogni vicolo in un corridoio infernale, dove le ombre sembrano creature che si muovono con intenti maligni.

Willem Dafoe, nel ruolo del Professor Van Helsing, offre un'interpretazione memorabile, incarnando un uomo consumato dalla conoscenza dell'orrore. Le sue interazioni con Skarsgård sono cariche di tensione, due predatori che si confrontano dietro una maschera di civiltà.

Il finale, con Ellen che si sacrifica al vampiro, è un balletto tra vita e morte. Tuttavia, l'uso eccessivo di effetti digitali compromette l'intimità della scena, trasformando ciò che doveva essere poesia visiva in un'esplosione di artifici.

Nosferatu è un tributo tecnicamente raffinato alla storia del cinema horror. Tuttavia, come tutti gli omaggi, rischia di rimanere prigioniero della propria riverenza. Murnau evocò il terrore con ombre e luci; Herzog trasformò quel terrore in un'esplorazione della solitudine immortale. Eggers, con la tecnologia moderna a disposizione, ci offre un'opera visivamente impeccabile, ma priva di quel brivido primordiale che ha reso Nosferatu un mito immortale.

Sasha Bazzov

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