Mani Nude

L'ARENA DELL'ESISTENZA

La violenza come specchio dell'essere umano

Mani nude non è un semplice romanzo: è un esperimento etico, una dissezione chirurgica dell'essere umano messo a nudo – nel corpo, nella mente, nell'anima. Paola Barbato ci trascina in un mondo dove la violenza non è una deviazione, ma una necessità, un respiro primordiale di chi, per vivere, deve distruggere. Non c'è spazio per la riflessione morale nei primi istanti di lettura. La trama si spalanca come una ferita aperta, cruda e pulsante, e ci costringe a entrare in un'arena che non è solo fisica, ma anche metaforica.

Davide, il protagonista, non è un eroe, né un antieroe. È un uomo comune, e proprio in questa ordinarietà risiede la sua forza narrativa più inquietante. Barbato lo strappa alla sua quotidianità – fatta di abitudini, di piccole certezze, di una vita che, seppur imperfetta, gli appartiene – e lo getta in un inferno senza nome, dove l'unica regola è sopravvivere. Il lettore, al pari di Davide, si ritrova disarmato, privato di ogni appiglio morale o sociale, costretto a fare i conti con una domanda che si insinua in ogni pagina: quanto lontano siamo disposti a spingerci per continuare a respirare?

L'arena in cui Davide viene rinchiuso non è solo un luogo fisico. È un simbolo, una rappresentazione del mondo stesso, dove ogni relazione umana, se spogliata delle sue sovrastrutture culturali, si riduce a un gioco di forza, di sopraffazione, di sopravvivenza. Barbato costruisce un microcosmo che rispecchia il macrocosmo della nostra realtà, un luogo in cui le maschere cadono e la natura più brutale dell'essere umano emerge in tutta la sua potenza.

La discesa di Davide: da uomo a sopravvissuto, da sopravvissuto a predatore

Davide è il cuore pulsante di Mani nude, ma è un cuore che si trasforma, che si indurisce, che perde progressivamente la sua capacità di provare empatia. Barbato ce lo presenta all'inizio come un uomo qualunque, un individuo che potrebbe essere chiunque di noi: non un guerriero, non un uomo abituato alla violenza, ma una persona normale, con i suoi limiti, le sue paure, i suoi piccoli sogni.

La sua trasformazione, però, è inevitabile. Ogni colpo che riceve, ogni battaglia che vince, ogni avversario che sconfigge lo allontana sempre di più da ciò che era. La sua umanità, intesa come capacità di provare pietà, compassione, solidarietà, si sgretola sotto il peso della sopravvivenza. Davide non diventa un mostro; diventa qualcosa di ancora più inquietante: un essere umano che ha accettato di abbracciare il lato più oscuro della propria natura per continuare a vivere.

In un certo senso, la sua parabola ricorda quella di personaggi come Kurtz in Cuore di tenebra di Joseph Conrad o Raskol'nikov in Delitto e castigo di Dostoevskij. Come loro, Davide è costretto a confrontarsi con l'abisso – ma, a differenza loro, non può permettersi di guardarlo troppo a lungo. Deve agire, deve colpire, deve uccidere. La sua esistenza diventa un pendolo che oscilla tra il desiderio di sopravvivere e il terrore di perdere completamente se stesso.

Eppure, Barbato non ci permette mai di giudicarlo con facilità. Ogni pugno che Davide sferra è un atto di disperazione, una dichiarazione di vita in un mondo che sembra volerlo annientare. E noi, lettori, non possiamo fare a meno di chiederci: avremmo fatto lo stesso? Quanto della nostra umanità saremmo disposti a sacrificare per continuare a respirare?

Il pubblico invisibile: la complicità silenziosa della società 

Se Davide è il protagonista visibile di Mani nude, il pubblico che osserva le sue battaglie è il protagonista invisibile, ma non meno importante. Barbato non ci dice chi sono questi spettatori, né perché si divertano a guardare uomini che si uccidono a vicenda. Non c'è bisogno di spiegarlo. Il loro piacere è il nostro piacere, la loro colpa è la nostra colpa.

Perché, in fondo, cosa ci separa da loro? Non siamo forse anche noi spettatori di violenze quotidiane, che consumiamo attraverso i media, i social, i film, i videogiochi? Non siamo anche noi attratti, in modo perverso, dal dolore altrui, dalla tragedia, dal sangue? Barbato ci costringe a confrontarci con questa scomoda verità: il pubblico che osserva Davide non è un'entità lontana, estranea. Siamo noi.

E qui risiede uno degli aspetti più inquietanti del romanzo. Mentre leggiamo, mentre seguiamo le battaglie di Davide, non possiamo fare a meno di sentirci parte di quel pubblico invisibile. Non possiamo fare a meno di tifare per lui, di sperare che vinca, di provare una sorta di piacere perverso nel vedere la sua lotta. Barbato ci mette davanti a uno specchio e ci costringe a guardarci negli occhi, a riconoscere la nostra complicità, il nostro voyeurismo, il nostro desiderio di spettacolo.

La sopravvivenza come condanna: vivere o perdere se stessi?

In Mani nude, sopravvivere non è una vittoria. È una condanna. Barbato ci mostra come la lotta per la vita possa trasformarsi in un fardello insostenibile, come ogni battaglia vinta lasci cicatrici che non si rimarginano mai del tutto.

Davide vince, sì. Ma ogni vittoria lo allontana sempre di più da ciò che era. Ogni avversario sconfitto è un pezzo della sua anima che si perde. La sua sopravvivenza diventa un processo di autodistruzione, un paradosso in cui vivere significa morire, pezzo dopo pezzo, a livello emotivo e morale.

Barbato ci costringe a chiederci cosa significhi davvero sopravvivere. È sufficiente continuare a respirare, o c'è qualcosa di più? E, se c'è, quanto siamo disposti a sacrificare per mantenerlo? La risposta, in Mani nude, non è mai chiara. Barbato non ci offre un lieto fine, né una morale consolatoria. Ci lascia, invece, con un senso di inquietudine, con la consapevolezza che la sopravvivenza, in certi contesti, è un peso che nessuno dovrebbe essere costretto a portare.

PERCHÉ LEGGERLO

Mani nude non è un romanzo facile. È un'opera che mette a nudo il lato più oscuro della natura umana, che ci costringe a confrontarci con noi stessi, con le nostre paure, con le nostre contraddizioni. Barbato scrive con una precisione spietata, costruendo una narrazione che è al tempo stesso cruda e profondamente filosofica.

Ogni pagina è un invito a riflettere, a chiederci cosa significhi davvero essere umani, cosa siamo disposti a fare per sopravvivere, e quanto siamo disposti a perdere nel processo. Leggere Mani nude significa accettare di entrare in un'arena senza uscita, di guardare negli occhi l'orrore e riconoscerne i tratti familiari.

Con Mani nude, Paola Barbato ci consegna non solo un thriller, ma un'opera che interroga, provoca e scuote. È un libro che non si dimentica – non perché ci offra risposte, ma perché ci lascia con domande che continueranno a risuonare dentro di noi, molto tempo dopo che l'ultima pagina è stata girata.

Sasha Bazzov

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