Itaca - Il ritorno

Data di uscita: 30 gennaio 2025

Regia: Uberto Pasolini

Con: Ralph Fiennes, Juliette Binoche, Tom Rhys Harries, Charlie Plummer, Marwan Kenzari.

Titolo internazionale: The Return.

Genere: Storico

Produzione: Francia, Grecia, Italia, Gran Bretagna

Durata: 116 minuti. 

Il mito, Pasolini e il rischio dell'intimità

Cimentarsi con l'Odissea è come sfidare un gigante: un'impresa che richiede la forza dell'eroe omerico e il coraggio di chi sa che potrebbe fallire. Uberto Pasolini, regista di opere intime come Nowhere Special, sceglie di affrontare non l'intero viaggio di Ulisse, ma il momento più fragile e complesso: il ritorno. E proprio qui si nasconde il fascino e la trappola di Itaca - Il ritorno.

Se da un lato il film si configura come una riflessione profonda e malinconica sul tempo, sulla perdita e sull'identità, dall'altro non può sottrarsi a un certo senso di incompiutezza. Pasolini, con il suo stile scarno e contemplativo, si allontana dalle tonalità epiche di molti adattamenti del passato, come Ulisse (1954, Mario Camerini) con Kirk Douglas o il roboante Troy (2004, Wolfgang Petersen). Ma in questa scelta, pur coraggiosa, si insinua una freddezza che talvolta rischia di spegnere l'urgenza emotiva del racconto.

Il film sembra quasi dialogare con altre opere che hanno cercato di rielaborare i miti classici spogliandoli della loro grandiosità. Penso, ad esempio, a Il ritorno di Martin Guerre (1982, Daniel Vigne), dove l'identità e il reinserimento in una comunità perduta diventano temi centrali. Oppure a La sottile linea rossa (1998, Terrence Malick), che riduce la guerra a un'astrazione dolorosa, più che a un atto eroico. Pasolini si muove in questa direzione, ma con un approccio ancora più intimo, quasi claustrofobico, che ci costringe a osservare un mito che si sgretola.

La trama: il ritorno come ferita aperta

La spiaggia di Itaca è un limbo. Ulisse (Ralph Fiennes), nudo e vulnerabile, si risveglia tra le onde. Non c'è trionfo, non c'è gloria. Solo un uomo stanco, consumato dai vent'anni di assenza, che porta su di sé il peso di tutte le guerre, le amanti e i rimpianti.

La casa che aveva lasciato è un'eco distante di ciò che ricordava. Penelope (Juliette Binoche), con la sua tela infinita, è l'emblema di un'attesa che non è mai stata davvero speranza, ma piuttosto una strategia di sopravvivenza in un mondo dominato dagli uomini. Telemaco (Charlie Plummer), il figlio mai conosciuto, è un giovane rabbioso e irrequieto, che fatica a vedere in Ulisse un padre e non un intruso.

La violenza che segue – il massacro dei Proci – è un atto necessario, ma mai liberatorio. Pasolini lo rappresenta con un realismo crudo e distaccato, privandolo della catarsi che spesso accompagna le grandi epiche. L'eroe che ristabilisce l'ordine non è un paladino della giustizia, ma un uomo che cerca di ricostruire ciò che è irrimediabilmente perduto.

Eppure, in questa rappresentazione di un ritorno spezzato, riecheggiano altre opere che hanno riflettuto sul tema del "ritorno impossibile". Pensiamo a Ritorno a Cold Mountain (2003, Anthony Minghella), dove il viaggio per tornare a casa è una discesa negli inferi dell'umanità, o a Il cavallo di Torino (2011, Béla Tarr), in cui il quotidiano diventa un'epopea di desolazione. Anche qui, Itaca non è più un luogo sicuro, ma un teatro di conflitti e fratture.

La critica sociale: il mito che si sgretola

La grande intuizione di Pasolini sta nel mettere a nudo non solo Ulisse, ma l'intero sistema di valori che l'Odissea rappresenta. La casa, simbolo della stabilità e del ritorno, è in realtà un luogo di conflitti irrisolti. Il patriarcato, con le sue dinamiche di potere, appare ormai anacronistico, incapace di offrire soluzioni.

Penelope, interpretata con sottile complessità da Juliette Binoche, non è la moglie devota di Omero, ma una donna che ha imparato a vivere senza il marito, a costruire un'identità autonoma. La sua forza risiede non nella fedeltà, ma nella capacità di adattarsi e resistere. Tuttavia, proprio questa forza rende il rapporto con Ulisse ancora più doloroso: il loro ricongiungimento non è una celebrazione, ma una collisione di due mondi che non possono più riconciliarsi.

È interessante notare come il film dialoghi indirettamente con Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975, Pier Paolo Pasolini). Anche qui, la violenza non è mai glorificata, ma mostrata nella sua cruda necessità. Come in Salò, la brutalità non è un mezzo per raggiungere la redenzione, ma un atto che svela l'orrore delle dinamiche di potere.

La regia: quando l'intimità diventa limite

Pasolini sceglie un'estetica essenziale, quasi ascetica, che si riflette in ogni aspetto del film. La fotografia, con i suoi toni freddi e naturali, cattura la bellezza spoglia di Itaca, una terra che sembra sospesa tra mito e realtà. Le scelte registiche privilegiano i silenzi, i dettagli, i gesti. Ma questa stessa sobrietà diventa, a tratti, una gabbia.

Ci sono momenti in cui la narrazione sembra trattenuta, incapace di esplodere. La violenza del massacro dei Proci, per esempio, è rappresentata con una freddezza che, se da un lato sottolinea la brutalità degli eventi, dall'altro priva lo spettatore di un coinvolgimento emotivo più profondo.

Eppure, ci sono anche lampi di straordinaria intensità. Il ricongiungimento tra Ulisse e il cane Argo è una delle scene più toccanti del film, un raro momento in cui la regia si lascia andare al pathos. Allo stesso modo, il confronto finale tra Ulisse e Penelope è carico di una tensione silenziosa che lascia il segno.

Le interpretazioni: corpi e anime in collisione

Ralph Fiennes è il cuore pulsante del film. Il suo Ulisse è un uomo spezzato, ma non vinto. Il suo corpo, segnato dal tempo e dalla fatica, racconta una storia di dolore e resistenza. Ogni sguardo, ogni movimento, è carico di significato, ma c'è una certa rigidità nella scrittura del personaggio che impedisce a Fiennes di esplorare pienamente le sue sfumature emotive.

Juliette Binoche, al contrario, riesce a infondere in Penelope una complessità straordinaria. La sua performance è un equilibrio perfetto tra forza e vulnerabilità, tra rabbia e amore. Penelope non è solo una donna che aspetta: è una figura che lotta, che resiste, che si trasforma.

Il giovane Charlie Plummer, nei panni di Telemaco, offre un'interpretazione convincente, ma il suo personaggio è forse il meno sviluppato. Telemaco è una presenza fondamentale nell'Odissea, ma qui sembra relegato a un ruolo secondario, un'occasione mancata per approfondire il rapporto padre-figlio.

Il messaggio universale: l'impossibilità del ritorno

Itaca - Il ritorno non è un film perfetto. La sua freddezza, la sua lentezza, la sua reticenza emotiva possono risultare frustranti. Ma proprio in queste imperfezioni risiede la sua forza. Pasolini non cerca di compiacere lo spettatore, ma di sfidarlo, di costringerlo a confrontarsi con le domande più scomode: cosa significa tornare? Cosa rimane di noi dopo il passare del tempo?

Come in Il posto delle fragole (1957, Ingmar Bergman), il viaggio di Ulisse non è solo una questione geografica, ma esistenziale. Itaca non è un luogo, ma un'idea. E il ritorno non è mai un semplice ripristino dell'ordine, ma una lotta per accettare ciò che è cambiato, ciò che è stato perduto.

Sasha Bazzov

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