
Il Cuoco, il Ladro, sua Moglie e l'Amante
Regista: Peter Greenaway
Anno: 1989
Sceneggiatura: Peter Greenaway
Fotografia: Sacha Vierny
Montaggio: John Wilson
Colonna sonora: Michael Nyman
Scenografia: Ben van Os, Jan Roelfs
Costumi: Jean-Paul Gaultier
Budget: 1 milione di sterline
Casa di produzione: Allarts Production
Distribuzione in italiano: Minerva Pictures
Un banchetto di carne e peccato
Non si entra mai indenni in un film di Peter Greenaway. C'è chi lo considera un pittore che ha sbagliato mezzo espressivo, chi un architetto che ha scelto di costruire incubi anziché edifici. Ma Greenaway è soprattutto un dissezionatore. Con il bisturi del suo sguardo analitico, seziona la condizione umana, spogliandola dei suoi veli fino a rivelare ciò che ci rende bestiali.
E Il Cuoco, il Ladro, sua Moglie e l'Amante non è un semplice film: è un banchetto rituale. Un'allegoria insopportabile e necessaria che ti costringe a divorare ogni boccone, anche quello che ti ripugna. È un'opera che non ti concede tregua, un viaggio nel cuore nero dell'umanità, dove la bellezza e la brutalità siedono allo stesso tavolo.

Un teatro di corpi e colori
Il film è ambientato quasi interamente in un ristorante, un non-luogo che si fa simbolo di decadenza. Le sale, illuminate da luci che oscillano tra il rosso del sangue e il verde marcio della decomposizione, sembrano uscite da un quadro fiammingo. Ogni dettaglio è calcolato, ogni colore è un colpo di pennello che definisce il tono emotivo della scena.
Il ristorante non è solo lo sfondo, ma un personaggio vivo e pulsante, che si trasforma di stanza in stanza. La cucina, con i suoi vapori e i suoi coltelli scintillanti, è un inferno brulicante di vita. La sala da pranzo è una corte dei miracoli, dove il potere si esercita attraverso i morsi e le coltellate. E poi ci sono i bagni, bianchi e puri, un santuario dove i personaggi cercano rifugio dalla violenza, solo per scoprire che la redenzione non è mai a portata di mano.
Greenaway si avvale di un cast straordinario. Michael Gambon è il Ladro, Albert, un tiranno volgare che domina ogni scena con la sua brutalità animalesca. Helen Mirren è la Moglie, Georgina, un'anima intrappolata tra la sottomissione e il desiderio di fuga, che trova nell'amante – interpretato da Alan Howard – una via di salvezza tanto fragile quanto inevitabile. E poi c'è il Cuoco, Richard Bohringer, il testimone silente e complice di questo dramma.

La violenza come linguaggio universale
Il Cuoco, il Ladro, sua Moglie e l'Amante non è solo un dramma personale, ma una parabola politica e sociale. Albert, il Ladro, è l'incarnazione del potere predatorio, un despota che si nutre della paura e dell'umiliazione altrui. Il suo ristorante è il microcosmo di un mondo in cui il consumo – di cibo, di corpi, di dignità – è l'unico valore riconosciuto.
La violenza qui non è mai fine a se stessa. È un linguaggio, un mezzo attraverso il quale Greenaway esplora i rapporti di potere. Ogni insulto, ogni pugno, ogni atto di sopraffazione è un tassello che compone un mosaico più grande, un ritratto della crudeltà umana che non lascia spazio a illusioni.
Ma nel film c'è anche una bellezza struggente, una poesia che emerge dai momenti più brutali. La relazione clandestina tra Georgina e il suo amante è un atto di ribellione contro l'oppressione, un tentativo disperato di trovare un frammento di umanità in un mondo che sembra averla dimenticata. Eppure, come ci insegna Greenaway, la bellezza è fragile, e la crudeltà non tarda mai a reclamare il suo posto.

Un'estetica che ferisce
Greenaway non si accontenta di raccontare una storia: la scolpisce, la dipinge, la trasforma in un'esperienza sensoriale totalizzante. Ogni inquadratura è un quadro vivente, ogni movimento di macchina un gesto coreografico. La colonna sonora di Michael Nyman, con le sue ossessive ripetizioni, amplifica il senso di claustrofobia, trascinando lo spettatore in una spirale che non offre vie di fuga.
E poi c'è il cibo. Mai come in questo film il cibo è stato così presente e così disturbante. I piatti, preparati con cura maniacale, sono opere d'arte che nascondono la corruzione. Il cibo diventa un simbolo, un'arma, un corpo da consumare e distruggere.
Ed è proprio il cibo a sigillare il finale del film, in un atto di vendetta che trascende ogni confine morale. Albert, il Ladro, viene costretto da Georgina a divorare il corpo del suo amante assassinato, in un pasto cannibale che è insieme un rito di purificazione e un ultimo atto di condanna. La scena, grottesca e insostenibile, è il culmine di un'opera che non si accontenta di scioccare, ma che pretende di costringere lo spettatore a riflettere sul significato stesso di umanità.
Greenaway e l'ossessione per la morte e l'arte
Il cannibalismo che chiude Il Cuoco, il Ladro, sua Moglie e l'Amante non è un semplice shock visivo. È l'apice di una poetica che Greenaway ha esplorato in tutta la sua carriera, un'ossessione per il corpo come luogo di conflitto tra bellezza e decomposizione. Lo stesso tema è centrale in I misteri del giardino di Compton House (1982), dove il corpo diventa oggetto di desiderio e violenza, e in Lo Zoo di Venere (1985), un viaggio inquietante nel rapporto tra scienza e crudeltà.
Greenaway è un regista che non teme di affrontare i tabù, che anzi li espone come fossero opere d'arte. Nel suo cinema, la morte non è mai lontana, ma sempre presente, come un'ombra che accompagna ogni gesto, ogni sguardo. Il suo interesse per la pittura fiamminga, così evidente in Il Cuoco, il Ladro, sua Moglie e l'Amante, non è solo estetico, ma filosofico: come i maestri del passato, Greenaway usa il dettaglio per rivelare l'universale, l'effimero per parlare dell'eterno.

Il cinema come autopsia dell'anima
Con Il Cuoco, il Ladro, sua Moglie e l'Amante, Peter Greenaway ci consegna un'opera che non appartiene a nessun genere. Non è un dramma, non è una satira, non è una tragedia. È tutto questo e molto di più. È un'autopsia sul corpo sociale, un'indagine sul modo in cui il potere corrompe e distrugge.
Greenaway non offre risposte, non cerca di consolare. Ti costringe a guardare, a confrontarti con le tue paure, i tuoi desideri, la tua stessa complicità. E quando i titoli di coda iniziano a scorrere, non sei più lo stesso. Sei ferito, trasformato, forse un po' più consapevole della bestia che si nasconde dentro di te.
Peter Greenaway non è un regista per tutti, e Il Cuoco, il Ladro, sua Moglie e l'Amante non è un film per gli stomaci deboli. Ma per chi è disposto a lasciarsi divorare, offre un'esperienza che non si dimentica. Un'esperienza che, nel suo crudo splendore, ci ricorda che il cinema, come ogni grande arte, è un invito a guardarsi dentro, anche quando quello che vediamo ci terrorizza.
Sasha Bazzov