
Eraserhead
Regista: David Lynch
Anno: 1977
Sceneggiatura: David Lynch
Budget: 10.000 USD
Casa di produzione: American Film Institute
Distribuzione in italiano: CLAB distributori associati
David Lynch: l'architetto dell'incubo che ci ha insegnato a non distogliere lo sguardo
Un addio che non esiste
Non si dice mai addio. Non a David Lynch. Non a chi ha saputo riscrivere il linguaggio del cinema e, così facendo, riscrivere anche i codici della tua mente. Non l'ho mai incontrato, non gli ho mai stretto la mano, ma il suo cinema mi stringe la gola e non la lascia andare. Non è un amico, ma un maestro oscuro, un architetto di incubi che ti costringe a guardarti dentro mentre il suo mondo ti divora.



Il giorno in cui trovai la mia porta per l'inferno
Era il 1995. Roma ribolliva come un vulcano pronto a esplodere, e io, giovane capellone con la testa piena di sogni e pretese, vagavo in cerca di qualcosa che non sapevo nemmeno definire. Quel giorno, il destino mi portò davanti a un piccolo tempio nel quartiere San Lorenzo: Disfunzioni Musicali. Già il nome è una promessa, un invito irresistibile per chi sente di non appartenere al mondo normale. Non è solo un negozio di dischi, è un rifugio per anime inquiete, una capsula del tempo dove ogni scaffale nasconde un segreto.
In un angolo, custodite come reliquie in teche di vetro, ci sono le VHS. Non semplici videocassette, ma oggetti di culto, lampi di proibito. Tra un Peter Greenaway e il Vampyr di Dreyer, spicca un titolo che sembra brillare di luce propria: Eraserhead. Il monolite nero. La copertina, ricoperta da una pecetta fiammeggiante, urla il prezzo originale: 5 sterline, quasi 6. Ma il commesso, con un sorriso che sa di sadismo, mi annuncia il verdetto inesorabile: 80 mila lire. Una cifra impossibile per le mie tasche vuote. Ci vogliono settimane di pasta e patate, mozziconi di sigarette raccolti per strada e rinunce infinite, ma alla fine quella VHS è mia.

Eraserhead: il sogno febbrile che ha cambiato tutto
Quando finalmente infilo il nastro nel videoregistratore, il mondo cambia. Eraserhead non è un film: è un'esperienza, un rituale. Non ha trama, almeno non come la intendiamo. Henry Spencer, con i suoi capelli elettrizzati e lo sguardo perso, vaga in un universo industriale e opprimente, dove ogni suono è un lamento e ogni immagine una ferita. Diventa padre di un "bambino" – se così si può chiamare quell'essere alieno e deforme – che piange incessantemente, un riflesso distorto di tutte le paure umane. E poi c'è lei, la donna nel termosifone, che canta una melodia spettrale: "In Heaven, everything is fine". Ma niente è fine, niente è a posto. Ogni cosa è solo un passo più profondo nell'abisso.
Quelle immagini mi marchiano per sempre. Il bianco e nero è un rasoio, le ombre sembrano vivere di vita propria, e quel pianto incessante… Dio, quel pianto! Mi tormenta per settimane, forse per anni. Lynch non ti prende per mano, ti spinge in un buco nero e ti lascia lì, con i tuoi demoni. Eraserhead mi insegna che il cinema non deve essere rassicurante. Può essere disturbante, alienante, ma assolutamente necessario. È il mio battesimo di fuoco, il momento in cui capisco che il grande cinema è quello che ti costringe a guardare anche quando vorresti distogliere lo sguardo.
Lynch è sempre qui
Ma Lynch non è solo Eraserhead. È il visionario che ci regala Blue Velvet, un viaggio nella perversione sotto il velo della provincia americana. È l'uomo dietro Twin Peaks, una serie che non smette di divorarti con il suo mistero, con i suoi caffè neri come la notte e le sue ciliegie rosse come il peccato. È il creatore di Mulholland Drive, un labirinto di sogni spezzati e identità frantumate, un puzzle che non vuole mai essere risolto. Ogni sua opera è un atto di sfida, un invito a esplorare ciò che sta oltre la superficie. E ogni volta, esci dai suoi film diverso da come eri entrato.
Lynch non è un semplice regista: è un alchimista delle emozioni, un creatore di mondi che si rifiutano di lasciarti andare. Le sue opere continuano a vivere, a respirare, a tormentare chiunque le incontri. Ogni dettaglio, ogni fotogramma è studiato per scavarti dentro, per lasciare una cicatrice che non guarirà mai.

David Lynch: il viaggio senza ritorno nell'anima del cinema
Non serve piangere oggi. Non c'è bisogno di lacrime per un uomo che ci ha già fatto a pezzi e ci ha ricomposti attraverso i suoi film. Serve invece guardare dritto in faccia ciò che ci ha lasciato e accettare di perderci ancora, ancora e ancora nel suo infinito. David Lynch non se ne va davvero. È qui, in ogni fotogramma che ci ha regalato, in ogni lampo di follia che ha scolpito nelle nostre menti. E io sarò sempre grato a quel giorno del 1995, quando, in un piccolo negozio di San Lorenzo, ho trovato la porta d'ingresso per l'inferno più bello che abbia mai visitato.
Sasha Bazzov