Dexter: Original Sin – Il passato oscuro del Mostro di Miami

Data di uscita: 13 dicembre 2024

Genere: Drammatico, Poliziesco, Thriller, Giallo

Regia: Marcos Siega, Sanford Bookstaver, Michael Lehmann

Attori: Patrick Gibson, Christian Slater, Molly Brown, Christina Milian, James Martinez, Alex Shimizu, Reno Wilson, Patrick Dempsey

Durata: 10 episodi (46-58 minuti ciascuno)

Distribuzione: Paramount+

Sceneggiatura: Scott Reynolds, Alexandra Franklin, Warren Hsu Leonard

Fotografia: Edward J. Pei

Montaggio: Perri Frank

Produzione: Showtime, Counterpart Studios, Clyde Phillips Productions

Le radici di un incubo

Alcuni personaggi non si limitano a esistere sullo schermo, ma si insinuano sotto la pelle dello spettatore, proliferano nei suoi pensieri, si annidano nei recessi più reconditi della coscienza collettiva fino a trasformarsi in simboli. Dexter Morgan è uno di questi. Non un semplice protagonista, non un eroe né un antieroe nel senso classico del termine, ma un'anomalia narratologica, una figura che infrange ogni paradigma etico, eppure affascina, seduce, ipnotizza.

Nato dalla penna di Jeff Lindsay, La mano sinistra di Dio (Darkly Dreaming Dexter, 2004) fu una scheggia impazzita nel panorama del crime thriller. Il romanzo non si limitava a raccontare la caccia a un serial killer: lo faceva dal punto di vista del mostro stesso. E non un mostro qualunque, ma un uomo incapace di provare emozioni, avvolto in un gelo interiore che lo rendeva alieno eppure paradossalmente vicino. Dexter Morgan era un predatore con un codice, un assassino con una morale. Lontano dagli eccessi compiaciuti del pulp tarantiniano o dalla glaciale efficienza dei sociopatici alla American Psycho, Dexter si muoveva nel mondo come un chirurgo della morte, selezionando con perizia le sue vittime, trasformando l'omicidio in una ritualità quasi sacra.

Ma è stata la serie televisiva Dexter (2006-2013) a forgiare il mito. Sotto la guida di James Manos Jr., la creatura di Lindsay si è trasformata in qualcosa di più grande, più stratificato, più perturbante. Michael C. Hall ha reso il suo Dexter un enigma vivente, un uomo che finge di essere normale, che imita le emozioni senza provarle, e che nel farlo ci costringe a confrontarci con la nostra stessa moralità. La serie ha ridefinito l'idea di anti-eroe sul piccolo schermo, anticipando di qualche anno il cinismo di Breaking Bad e dei moderni racconti sulla discesa nell'abisso.

Ora, con Dexter: Original Sin, non siamo di fronte a un semplice prequel. Sarebbe riduttivo definirlo così. Questo non è un'operazione nostalgica alla ricerca di gloria passata, non è un tentativo di spremere un brand fino all'ultima goccia. È un'autopsia psicologica, un'indagine sulle origini del male, un viaggio alle radici di una mente deviata.

Ciò che rende Original Sin un progetto ambizioso è la volontà di esplorare i meccanismi che trasformano un ragazzo in un predatore. Non si tratta solo di raccontare il passato di Dexter, ma di decostruire, pezzo dopo pezzo, il processo attraverso cui qualcuno diventa quello che è destinato a essere. La serie ci riporta negli anni della formazione, quando Dexter è ancora uno studente, quando il suo istinto omicida è ancora grezzo, quando la sua maschera sociale è fragile, imperfetta. È il momento in cui il codice di Harry non è ancora un dogma, ma un insieme di regole in costruzione, un esperimento disperato per incanalare l'incontrollabile.

È un ritorno alle origini che non si limita a rievocare il passato, ma lo disseziona. Original Sin non guarda il mito di Dexter con l'ammirazione di chi vuole celebrarlo, ma con la freddezza analitica di un chirurgo che incide la carne per osservarne il tessuto più profondo. È la storia di un giovane che non sa ancora chi è, ma che scoprirà presto di non avere alternative. Perché Dexter Morgan non è mai stato davvero libero: è sempre stato una creatura del destino, un uomo intrappolato in una natura che non ha scelto, ma che ha imparato ad accettare.

E in questo viaggio nel passato, il pubblico è costretto a confrontarsi con un'idea scomoda, inquietante: il male non nasce dal nulla. Ha una logica, un percorso, una costruzione. E a volte, quando lo osserviamo da vicino, ci rendiamo conto che forse non è poi così distante da noi.

Volti nuovi, ombre familiari

Ogni prequel porta con sé un'inevitabile sfida: rievocare il passato senza tradire la memoria dell'originale. La difficoltà più grande sta nel rimpiazzare volti scolpiti nell'immaginario collettivo con nuove interpretazioni che sappiano evocare, senza imitare. Dexter: Original Sin si muove su questo filo sottile, e il suo cast gioca un ruolo cruciale nel dare credibilità a un racconto che, per funzionare, deve farci dimenticare – almeno per un momento – che non stiamo guardando Michael C. Hall nei panni di Dexter Morgan.

Patrick Gibson raccoglie un'eredità pesantissima e sorprende per la sua capacità di incarnare un Dexter ancora grezzo, un predatore in divenire. Il suo volto, meno scolpito ma altrettanto enigmatico, tradisce quell'inquietudine che nella serie originale era già stata sepolta sotto strati di perfezione metodica. Il giovane Dexter che ci viene presentato non è ancora il chirurgo della morte che abbiamo conosciuto: c'è una tensione costante nei suoi gesti, un'incertezza che tradisce il peso dell'apprendimento. È un uomo che sta ancora affinando la finzione della normalità, che non ha ancora trasformato il suo codice in una religione personale.

Accanto a lui, Christian Slater porta sullo schermo un Harry Morgan ben diverso da quello che ricordavamo. Se nella serie originale Harry è una figura quasi mitologica, un padre che appare nei momenti di crisi come una coscienza guida, qui lo vediamo nella sua interezza: un uomo logorato dal dubbio, consapevole di aver intrapreso un percorso irreversibile. Slater gli conferisce un'umanità sofferta, un tormento che lo rende più fallibile, più disperato. Non è il mentore calmo e sicuro che conoscevamo, ma un uomo che si sta rendendo conto di aver dato vita a qualcosa che non può controllare.

Molly Brown, nei panni di una giovane Debra Morgan, offre un'interpretazione che riesce a catturare l'essenza ribelle e fragile della sorella di Dexter. La Debra che conosciamo è un vortice di insicurezze mascherate da arroganza, una ragazza che vive nell'ombra del padre e che cerca disperatamente di essere all'altezza di un ideale che non ha mai compreso fino in fondo. Original Sin ci porta nel momento in cui questa insicurezza si sedimenta, nel periodo in cui Debra inizia a percepire che, per quanto possa sforzarsi, non sarà mai il figlio preferito di Harry. Il suo rapporto con Dexter è ancora privo delle crepe che lo spezzeranno in futuro, ma già mostra i primi segni di quel disequilibrio affettivo che la renderà un personaggio tragico.

Tuttavia, la vera novità di Dexter: Original Sin sta nell'approfondimento di personaggi secondari che, nella serie originale, erano rimasti sullo sfondo. Camilla Figg (Sarah Kinsey), la funzionaria dell'ufficio forense che, anni dopo, proteggerà Dexter con discrezione, qui appare in una veste più attiva, lasciando intendere che il suo legame con la famiglia Morgan sia più profondo di quanto sospettassimo. Anche Clark Sanders (Aaron Jennings), collega di Harry, assume un rilievo maggiore, diventando un testimone involontario del processo con cui il codice di Dexter prende forma.

Ma è la presenza di Brian Moser a gettare un'ombra lunga sulla narrazione. Se Dexter è il risultato di un esperimento educativo, Brian è il suo doppio speculare, la dimostrazione di cosa sarebbe potuto accadere senza la guida di un codice. Non ha avuto un Harry a insegnargli a incanalare la sua oscurità, non ha ricevuto regole per contenere il proprio istinto. È la versione più pura e spaventosa del male, un predatore senza freni, e la sua ricomparsa nella vita di Dexter è un promemoria costante di ciò che potrebbe diventare se mai dovesse abbandonare il codice.

E poi c'è Sarah Michelle Gellar, il cui ruolo rimane avvolto nel mistero. Presentata come una figura di rilievo nel dipartimento di polizia di Miami, il suo personaggio è un enigma che si muove ai margini della narrazione. È solo un'agente di alto rango o nasconde un ruolo più complesso nella formazione di Dexter? È una pedina nel grande gioco che Harry sta orchestrando, o un ostacolo che potrebbe compromettere tutto? La sua presenza instilla dubbi, suggerisce possibilità ancora inesplorate e lascia intendere che il percorso di Dexter potrebbe non essere stato così lineare come lo abbiamo sempre immaginato.

Questo è il vero valore di Dexter: Original Sin: non si accontenta di rievocare il passato, ma lo espande, lo arricchisce di sfumature, lo rende ancora più torbido e stratificato. Non è un semplice ritorno alle origini, ma una riscrittura della memoria, un'indagine retrospettiva che ci costringe a guardare i personaggi sotto una luce nuova. E, forse, a renderci conto che non abbiamo mai davvero conosciuto Dexter Morgan fino in fondo.

Un omaggio alla serie originale

Dal primo istante, Dexter: Original Sin si rivela non solo come un prequel, ma come un atto di devozione metodico e studiato nei confronti della serie madre. Non si tratta di una semplice operazione nostalgica, ma di un dialogo continuo con ciò che è stato, un gioco di specchi che riflette e distorce, che richiama il passato ma lo rielabora in una nuova prospettiva.

La sigla di apertura è il primo grande segnale di questa fedeltà. Se la sequenza originale di Dexter era un capolavoro di montaggio subliminale, un inno alla violenza quotidiana nascosta nei gesti più banali (il filo interdentale che si tende come un cappio, il coltello che taglia l'uovo fritto come una lama nella carne, il laccio della scarpa che si stringe come un nodo scorsoio), Original Sin riprende quell'estetica con una cura maniacale. Ogni elemento è lì, ricostruito con un tocco leggermente diverso, come un ricordo deformato dal tempo.

Ma il vero omaggio non è solo visivo. La narrazione stessa ricalca la struttura della serie originale, riportando in vita uno degli elementi più iconici: la voce fuori campo di Dexter. Questo espediente, che nella serie madre era il mezzo attraverso cui il pubblico entrava nella mente del killer, assume qui una sfumatura più insicura, più esitante. Il giovane Dexter non è ancora il cacciatore perfetto che abbiamo conosciuto, e il suo monologo interiore riflette questa incertezza. Ci guida attraverso il labirinto della sua mente, ma è un labirinto ancora in costruzione, con corridoi che si interrompono bruscamente, con porte che si aprono su stanze che non dovrebbero esistere.

C'è qualcosa di profondamente inquietante in questa familiarità distorta. Ogni richiamo alla serie originale non è solo un tributo, ma un sottotesto che amplifica il senso di predestinazione. Sappiamo chi diventerà Dexter. Sappiamo dove porterà questo percorso. Eppure, vederlo in una fase così embrionale, vederlo fallire, dubitare, tentare di reprimere ciò che inevitabilmente emergerà, rende tutto ancora più tragico.

L'origine del codice e la costruzione del Mostro

Se nella serie originale il codice di Harry era un principio immutabile, una sorta di Bibbia della sopravvivenza per un serial killer con una morale, qui ci viene mostrata la sua genesi, il tormento che si cela dietro ogni regola imposta, il compromesso disperato di un padre che tenta di contenere l'incontenibile.

Harry Morgan non è più la figura mitologica che appariva nelle visioni di Dexter adulto, un'entità quasi sovrannaturale che dispensava consigli con la freddezza di uno stratega. Qui è un uomo in carne e ossa, fragile, fallibile. Lo vediamo lottare con se stesso, cercare alternative, sperare disperatamente che il figlio possa essere "aggiustato". Ma quando diventa chiaro che la fame di sangue di Dexter non può essere soppressa, nasce l'unica soluzione possibile: incanalare quegli impulsi verso chi "merita" di morire.

Il codice non nasce quindi come un dogma, ma come un esperimento. Harry testa ogni regola, la modifica, la adatta, la mette alla prova. E Dexter, ancora inesperto, ancora impacciato, commette errori. Non ha ancora la precisione chirurgica che lo renderà il "Macellaio di Bay Jarbor" di Miami. È un apprendista della morte, un predatore che sta imparando a cacciare.

Ma c'è un dettaglio che rende tutto ancora più spaventoso. Harry non è solo un mentore, è un creatore. Ogni lezione che impartisce a Dexter non è solo un tentativo di proteggerlo, ma un atto di ingegneria psicologica. Sta costruendo un mostro controllabile, sta trasformando il figlio in qualcosa che possa sopravvivere nel mondo senza essere scoperto. E la domanda oscura che aleggia su tutta la serie è: fino a che punto Harry ha davvero cercato di fermarlo? Quanto di questo codice è nato dalla disperazione e quanto dalla consapevolezza che, in fondo, Dexter non sarebbe mai potuto essere qualcosa di diverso?

Brian Moser, il fratello biologico di Dexter, è la prova vivente di cosa accade quando un bambino con lo stesso trauma non riceve una guida. Senza un codice, Brian è diventato puro istinto, pura sete di sangue. La sua presenza nella vita di Dexter è un monito costante: senza il codice di Harry, Dexter sarebbe stato come lui. Ma allora, se l'unico motivo per cui Dexter non è un mostro incontrollabile è l'addestramento ricevuto, significa forse che Harry, nel tentativo di salvare il figlio, lo ha reso ancora più pericoloso?

Questa è la grande domanda che Dexter: Original Sin pone, ed è ciò che lo rende più di un semplice prequel. Non è solo la storia delle origini di un killer, ma la dissezione di un processo psicologico disturbante. Non è una narrazione che giustifica o assolve, ma che analizza, incide, espone.

E mentre vediamo il giovane Dexter compiere i suoi primi passi nel mondo che lo renderà il Macellaio di Bay Harbor, non possiamo fare a meno di chiederci: e se Harry avesse fallito? Se avesse scelto un'altra strada? Se avesse cercato di "aggiustare" Dexter invece di trasformarlo in qualcosa di controllabile?

Ma sappiamo già la risposta. Perché il codice non è mai stato una soluzione. È sempre stato solo un'illusione. Una gabbia dorata per un predatore che, prima o poi, avrebbe comunque trovato il modo di uccidere.

Un futuro ancora incerto

Se c'è una cosa che Dexter ci ha insegnato, è che le storie non finiscono mai davvero. Anche quando crediamo di aver chiuso un capitolo, anche quando il sipario sembra calare definitivamente, c'è sempre un ombra che si insinua nelle crepe della narrazione, pronta a riemergere. Dexter: Original Sin si inserisce perfettamente in questo ciclo di resurrezione narrativa: non si limita a esplorare il passato, ma lascia intenzionalmente aperte porte che potrebbero condurre a nuove stagioni.

La prima stagione si ferma prima di momenti cruciali nella vita di Dexter. Non vediamo ancora Debra entrare ufficialmente nel dipartimento di polizia, solo la sua decisione di iscriversi all'accademia per seguire le orme del padre. È un passaggio chiave per il personaggio, un punto di non ritorno che segnerà la sua intera esistenza. Brian Moser, il fratello biologico di Dexter, continua a muoversi nell'ombra, suggerendo che il loro rapporto potrebbe essere ulteriormente esplorato, che il confronto tra i due non si è ancora compiuto del tutto.

Gli showrunner sembrano voler lasciare spazio a un possibile proseguimento, espandendo ulteriormente la narrazione prima di ricongiungere il personaggio alla timeline principale. Perché Original Sin non è solo un prequel: è un tassello di un panorama più ampio, un frammento di una mitologia che continua a crescere. La storia di Dexter non è finita, e il futuro si profila ancora più complesso con l'annuncio di Dexter: Resurrection, il sequel che vedrà Michael C. Hall tornare nei panni del protagonista.

L'interrogativo che resta è: quanto ancora può essere raccontato senza compromettere l'aura del personaggio? Il rischio di sovraesporsi, di frammentare troppo la narrazione, è dietro l'angolo. Eppure, se Original Sin ha dimostrato qualcosa, è che l'universo di Dexter può espandersi senza perdere la propria anima. Se la scrittura continuerà a mantenere la stessa cura, se le nuove stagioni sapranno approfondire senza ripetersi, allora forse il viaggio nel passato di Dexter è tutt'altro che concluso.

Perché ci affezioniamo a Dexter? 

Questa è la domanda che aleggia su Dexter fin dalla sua creazione: perché proviamo empatia per un uomo che non ne ha? Perché seguiamo le vicende di un serial killer con la stessa passione con cui, in altre storie, seguiremmo un eroe?

La risposta sta nella costruzione magistrale del personaggio. Dexter Morgan non è solo un assassino. È un uomo che cerca disperatamente di appartenere a un mondo che non lo riconosce, che non lo comprende. È un essere umano che finge di essere normale, che imita le emozioni, che costruisce meticolosamente una facciata sociale per sopravvivere. Ma dietro questa maschera si cela un vuoto incolmabile, un'assenza di empatia che lo rende alieno eppure incredibilmente umano.

Il codice di Harry è ciò che lo rende un paradosso affascinante: un assassino con una morale, un mostro che si crede giusto. Seguire Dexter significa assistere a questo eterno conflitto interiore, a questa lotta tra istinto e disciplina, tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere. E in questo, paradossalmente, ci riconosciamo. Perché chi non ha mai dovuto reprimere un impulso? Chi non ha mai dovuto fingere qualcosa per adattarsi? Dexter è un'estremizzazione delle nostre stesse contraddizioni, e proprio per questo non possiamo fare a meno di seguirlo.

Ma c'è un altro elemento, più sottile, più inquietante: Dexter è un mostro che ci rassicura. Non uccide a caso, non è mosso dal caos, ma da un ordine preciso. In un mondo in cui il male spesso passa inosservato, in cui la giustizia fallisce, Dexter diventa un'illusione di equilibrio. Un arbitro oscuro che punisce i colpevoli quando il sistema fallisce. È un concetto moralmente ambiguo, eppure irresistibile.

Serviva davvero un prequel? 

Era necessario tornare indietro, raccontare il passato di Dexter, scavare ancora più a fondo nelle sue origini? La risposta è ambivalente. Da un lato, il rischio era enorme. Dexter è stato un fenomeno, e ogni tentativo di espanderne la storia poteva facilmente sfociare in un'operazione forzata, in un tentativo di capitalizzare sulla nostalgia senza una vera necessità narrativa.

Eppure, Dexter: Original Sin riesce a giustificare la propria esistenza. Non è un'operazione nostalgica sterile, ma un'aggiunta che arricchisce il personaggio e il suo mondo. Mostra aspetti di Dexter che non avevamo mai visto, esplora la fragilità del suo codice, la sua lotta per controllarsi, i suoi primi errori. Rende più complesso il rapporto con Harry, getta nuova luce sulla figura di Brian, approfondisce Debra nel momento esatto in cui inizia a diventare la donna che conosceremo.

Ma, soprattutto, Original Sin riesce a mantenere intatto il fascino di Dexter. Il personaggio non viene ridotto a una caricatura, non viene banalizzato né mitizzato oltre misura. Rimane ambiguo, rimane sfuggente. E forse, alla fine, è proprio questo il segreto del suo successo: la capacità di espandersi senza perdere la propria essenza.

Perché, alla fine, Dexter non è solo una storia su un serial killer. È una storia su cosa significhi essere umani, su cosa significhi lottare contro la propria natura. E finché questa lotta continuerà a essere raccontata con intelligenza e rispetto, ci sarà sempre spazio per nuove storie.

Sasha Bazzov

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