
Dal Baratro alla Gloria - I Gironi
L'Attesa e il Peso del Passato
La notte prima dell'esordio è la più lunga. Il tempo scorre lento, il silenzio è pesante. Nell'albergo della Nazionale, i giocatori sono stesi sui letti, gli occhi fissi sul soffitto, i pensieri che si rincorrono senza tregua. Fuori, la calma. Dentro, la tempesta.
Buffon osserva il soffitto, le mani dietro la testa. Ha vissuto mille partite, ha parato palloni impossibili, ma questa è diversa. Questa è la Nazionale, questa è l'Italia. E l'Italia arriva a questo Mondiale con il cuore ferito. Calciopoli ha lasciato il calcio italiano in macerie. Ha trasformato la passione in sospetto, ha avvelenato lo spogliatoio, ha fatto crollare idoli. Alcuni di loro non sanno nemmeno se, una volta finito il torneo, avranno ancora una squadra in cui giocare. Ma domani tutto questo dovrà restare fuori.
Cannavaro, il capitano, è seduto sul bordo del letto, le mani intrecciate. Ripassa mentalmente ogni scenario, ogni movenza avversaria. Sa che il Mondiale è spietato, sa che la forza non basta. Pirlo è immobile, gli occhi aperti nel buio. Nella sua mente la partita è già iniziata. Gattuso cammina avanti e indietro, i muscoli tesi, il respiro corto. Per lui il calcio è guerra, e domani sarà la prima battaglia.
Ma l'Italia non è solo sotto pressione fuori dal campo. Il girone è una trappola. Il Ghana è giovane, rapido, imprevedibile. Un calcio fatto di corsa e talento grezzo, capace di far saltare qualsiasi equilibrio. La Repubblica Ceca, al contrario, è esperta, compatta, con giocatori abituati a partite di alto livello. E poi ci sono gli Stati Uniti, fisici, aggressivi, pronti a giocarsela fino all'ultimo respiro. Questo non è un girone per chi cerca di galleggiare: serve lottare, serve vincere subito.
Nella sua stanza, Lippi osserva la notte dalla finestra. Sa che il gruppo è forte, ma sa anche che il Mondiale non perdona. Ha fatto le sue scelte, ha costruito una squadra con uomini pronti a tutto. Ora tocca a loro.
In Italia, però, l'attesa ha un sapore diverso. Non c'è
entusiasmo, non c'è euforia. C'è scetticismo. Diffidenza.
Nei bar, nei circoli, nelle case, si parla più di scandali che di
schemi di gioco.
"Non meritano il nostro tifo."
"Sono
tutti uguali."
"Non arriveranno lontano."
Ma sotto la superficie, sotto quella rabbia e quella delusione, c'è ancora una speranza nascosta, un fuoco che nessuno vuole ammettere di sentire.
E poi c'è l'altra Italia. Quella che lavora in Germania. Gli emigrati, quelli che da anni vivono nelle fabbriche, nei cantieri, nelle cucine dei ristoranti, nelle officine. Quelli che hanno lasciato casa per cercare un futuro migliore, ma che non hanno mai smesso di sentirsi stranieri. Per loro il Mondiale è qualcosa di più di una competizione. È un'occasione. È una rivincita. Per anni hanno sopportato tutto. Le battute, gli sguardi superiori, il pregiudizio latente. Per anni hanno sentito dire che l'Italia è un paese di pizza, mafia e truffe. Ora sperano che questi undici uomini in maglia azzurra possano cambiare qualcosa. Anche solo per un mese.
L'orologio segna le due di notte. Poi le tre. Nessuno dorme davvero. Poi, lentamente, il buio si dissolve. L'alba arriva, come se volesse prolungare ancora un po' quell'attesa. Il sole illumina la Germania. È il segnale. È il giorno del debutto.
Nell'albergo degli Azzurri, il primo a svegliarsi è Buffon. Si alza, si stiracchia, guarda fuori. Niente è cambiato, ma tutto sta per cambiare. Uno dopo l'altro, i giocatori escono dalle loro stanze. Gli occhi segnati dalla notte insonne, ma dentro brucia qualcosa. Si scambiano sguardi rapidi ma intensi. Nessuno parla troppo: ormai le parole non servono più. Le borse sono pronte. Le maglie azzurre aspettano, piegate, con il numero ben visibile. Fuori, il pullman è già acceso. Il viaggio sta per iniziare.

L'Esordio: Italia vs Ghana (2-0)
La sera di Hannover è densa di umidità e tensione. L'aria è pesante, quasi elettrica, come se il cielo trattenesse il respiro insieme ai cinquantamila sugli spalti. L'Italia entra in campo per iniziare il suo Mondiale, con il peso di uno scandalo sulle spalle e un popolo da riconquistare. Ogni giocatore porta con sé la propria storia, le proprie battaglie personali. Nel tunnel, il silenzio è rotto solo dal rumore dei tacchetti sul cemento. Materazzi tamburella con le dita sulla coscia, il volto impassibile, ma dentro di sé sente il cuore martellare. Non è un titolare fisso, è abituato a dover lottare per ogni minuto in campo. Camoranesi si passa una mano tra i capelli , il gesto di chi cerca di scacciare la tensione. cinti in una lunga coda. Lui, argentino di nascita, italiano d'adozione, sa che ogni partita è un'occasione per dimostrare di essere parte di questa squadra. Più avanti nel tunnel c'è Luca Toni. Un gigante venuto dalla gavetta, uno che ha segnato gol in ogni categoria del calcio italiano. A vent'anni giocava ancora in Serie C, ma non ha mai mollato. Ora è qui, centravanti titolare dell'Italia, con il compito di trascinare gli Azzurri con i suoi gol. Accanto a lui, Vincenzo Iaquinta. Figlio di immigrati calabresi, cresciuto a Crotone, esploso a Udine. Uno che ha sempre corso più degli altri, che ha sempre dovuto dimostrare di meritarsi tutto. Lippi li osserva, mani in tasca, sguardo fermo. Sa cosa c'è dietro ogni maglia, dietro ogni volto. Conosce le loro paure, le loro ansie, ma sa che una volta in campo tutto svanirà.
Il fischio dell'arbitro è il segnale. Si parte.
Il Ghana non aspetta, non concede un secondo di respiro. Pressano alto, rubano tempo e spazio, costringono l'Italia a rinculare. La difesa azzurra è subito sotto pressione, Zaccardo fatica a contenere gli affondi avversari. Perrotta ringhia su ogni pallone, combatte con la determinazione di chi sa di non poter sbagliare. Lippi dalla panchina urla, agita le braccia, cerca di dare ordine al caos.
Il Ghana è aggressivo, pressa alto, mette in campo fisico e velocità. L'Italia fatica a trovare spazi, ma resiste come suo solito.
Minuto 12. Toni ha una grande occasione. Perrotta lo serve con un pallone perfetto, ma arriva con un attimo di ritardo. Il gol è solo annunciato.
Pochi minuti dopo, sempre lo stesso Toni si libera in area e calcia di potenza. La palla sbatte sulla traversa. L'Italia comincia a prendere ritmo.

Minuto 40. Calcio d'angolo, e il pallone arriva sui piedi di Pirlo, appena fuori area. Un controllo, uno sguardo, il tempo si ferma, poi il destro secco. La palla parte forte, rasoterra, precisa. Gilardino si abbassa quel tanto che basta per non deviare la traiettoria. Il pallone si infila nell'angolo, è gol. L'Italia è in vantaggio.
Il Ghana reagisce con furia. Essien impegna Buffon, Asamoah spreca da buona posizione.
Minuto 79. Dentro Iaquinta per Gilardino.

L'Italia controlla, ma serve il colpo finale. E finalmente all'83esimo minuto arriva. Errore di Kuffour, Iaquinta si avventa sul pallone, soffia il tempo al difensore e poi al portiere...è una liberazione. Per Iaquinta è un momento speciale. Lui, che non era certo di essere convocato, che ha sempre sentito di dover dimostrare qualcosa in più rispetto agli altri. Esplode di gioia, si butta a terra. Tutti i compagni lo sommergono.
L'Italia vince. Due gol, tre punti. Gli Azzurri si abbracciano. Sanno che il primo ostacolo è superato, ma il cammino è ancora lungo. Non è stata una prestazione perfetta, ma è stata solida, concreta. E in un Mondiale, contano solo i passi avanti.
La Battaglia di Kaiserslautern: Italia vs USA (1-1)
17 giugno 2006, sei giorni dopo l'esordio.
L'Italia arriva a Kaiserslautern con le ossa indolenzite e la mente carica di domande. La vittoria contro il Ghana non ha cancellato i dubbi, non ha sciolto tutte le incertezze. Il Mondiale non aspetta, non concede respiro. Ogni partita è un crocevia. Lippi lo sa, i giocatori lo sanno.
Il Fritz-Walter-Stadion è un'arena chiusa tra le colline, un muro di suoni e tensione. C'è qualcosa di opprimente nell'aria, un'energia che sembra premere sulle spalle degli Azzurri. Lippi scruta il campo, le mani sui fianchi. Ha scelto Gilardino in attacco, lasciando Inzaghi in panchina. Pippo mastica nervosamente il paradenti, sa che dovrà aspettare il suo momento.
Dal primo minuto si capisce tutto. Gli americani non sono qui per giocare, sono qui per combattere. Ogni contrasto è duro, ogni pallone conteso con una ferocia che va oltre il calcio. Zaccardo viene travolto da un avversario in corsa, Perrotta finisce a terra dopo un'entrata durissima. Cannavaro scuote la testa, Lippi dalla panchina grida di mantenere la calma. Ma non c'è spazio per la calma.
L'Italia prova a costruire, ma ogni passaggio è accompagnato da una spallata, ogni tentativo interrotto da un fallo. Totti cerca spazio, ma viene braccato senza tregua. Pirlo cerca di dettare i ritmi, ma ogni volta che riceve il pallone sente il fiato di un avversario sul collo.

Minuto 22. Punizione per l'Italia. Pirlo sistema il pallone con la sua solita precisione. Per lui, il calcio è geometria, è scienza. Alza lo sguardo, calcola lo spazio. Il cross parte, un bacio al pallone, una traiettoria perfetta. Gilardino si avventa. Lui, il ragazzo di Biella, cresciuto a suon di gol nel Parma, è qui per dimostrare di essere all'altezza di un Mondiale. Impatta di testa in tuffo, la rete si gonfia. Gilardino può finalmente suonare il suo violino.
L'Italia è in vantaggio, Ma la gioia dura poco.

Minuto 26. Cross dalla destra, l'area è affollata. Zaccardo prova a intervenire, ma il tocco è a dir poco maldestro. Autogol. Zaccardo abbassa lo sguardo, il peso dell'errore inchiodato sulle sue spalle. Cannavaro gli dà una pacca sulla testa. Ma Zaccardo sente un macigno sullo stomaco.
Il match si trasforma in un duello brutale. Ogni contrasto è un colpo, ogni pallone un trofeo.
Minuto 28. De Rossi salta con il gomito alto. McBride crolla a terra, le mani al volto. L'arbitro non ha dubbi: rosso diretto. L'Italia resta in dieci. Lippi si passa la mano sul viso, impreca sottovoce. Sa che De Rossi è giovane, sa che l'irruenza può costare caro. Ma non c'è tempo per i rimpianti.
Pochi minuti dopo, Mastroeni entra duro su Pirlo. Rosso diretto. Dieci contro dieci.
Il campo è una polveriera. Insulti, spintoni, sguardi carichi di rabbia. L'arbitro alza le mani, cerca di calmare gli animi. Ma la partita è ormai fuori controllo.
Minuto 47. Pope entra in ritardo su Gilardino. Secondo giallo. Stati Uniti in nove. Ora l'Italia ha un vantaggio numerico. Ma non riesce a sfruttarlo. Gli Stati Uniti si chiudono, difendono con tutto ciò che hanno. Non giocano più per vincere, giocano per resistere. Perrotta, Zambrotta e Del Piero sfiorano il gol, ma Keller salva tutto.
Lippi si gira verso la panchina. Chiama Inzaghi. Pippo entra con gli occhi di un predatore. Ha aspettato, ha sofferto in silenzio. Ora ha pochi minuti per lasciare il segno. Si muove, si infila tra i difensori, cerca lo spazio giusto. Un cacciatore in cerca della preda. Ma il muro americano non crolla.
Il fischio finale arriva dopo una battaglia crudele. È un pareggio, ma pesa come una sconfitta. Lippi sa che questa partita potrebbe lasciare segni profondi.
La Qualificazione: Italia vs Repubblica Ceca (2-0)
22 giugno 2006, cinque giorni dopo la battaglia di Kaiserslautern.
Il sole batte forte su Amburgo, illuminando il campo come un palcoscenico pronto a ospitare l'ultimo atto del girone. L'Italia arriva con le ossa ancora doloranti, i segni della battaglia contro gli Stati Uniti visibili nei muscoli tesi e nelle espressioni contratte. Il pareggio ha lasciato scorie, dubbi, domande che nessuno ha osato pronunciare ad alta voce. Ma oggi non c'è più tempo per i pensieri. Oggi conta solo vincere.
Lippi osserva i suoi uomini mentre fanno gli ultimi passi nel tunnel. Ha scelto con cura, ha fatto le sue mosse. Pippo Inzaghi è seduto in panchina, il volto contratto in un'espressione che chi lo conosce bene sa decifrare. Non è rabbia, non è delusione. È fame. Lui vuole esserci, vuole il suo momento. Ma sa che deve aspettare. Sa che la sua occasione arriverà.
Il fischio dell'arbitro è un colpo secco, un segnale che spazza via tutto. L'Italia entra in partita con la giusta mentalità. Pirlo è il metronomo, Totti si muove tra le linee con la sua eleganza naturale, Gattuso corre come un forsennato, ringhia su ogni pallone. Gli Azzurri vogliono subito il comando del gioco, vogliono dimostrare che sono loro a decidere il ritmo. Di fronte, la Repubblica Ceca. Squadra solida, esperta, pericolosa. Non solo forza fisica, ma anche qualità. Nedvěd, Rosický, Jankulovski. Giocatori di classe, capaci di inventare, di cambiare una partita in un attimo.
Minuto 17. Un colpo di scena. Nesta si ferma, il volto contratto dal dolore. È un problema all'inguine. Deve uscire. Lippi guarda la panchina, poi chiama Materazzi. Entrare così, a freddo, in una partita decisiva. Non c'è tempo per pensare. Solo per combattere.

Minuto 26. Calcio d'angolo per l'Italia. Totti dalla bandierina fa partire un cross teso, preciso. Materazzi si libera, prende il tempo al difensore. Stacca quasi da fermo e impatta di testa. La palla si infila nell'angolo. Gol.
L'Italia esulta. Materazzi guarda i compagni, stringe i pugni. È entrato da pochi minuti e ha già lasciato il segno.
Ma la Repubblica Ceca non si arrende. Non può. Se perde, è fuori.
Minuto 36. Nedvěd accelera, serve Rosický. Un controllo, poi il destro. Secco, potente. Buffon vola e Devia in angolo con un riflesso straordinario. L'Italia stringe i denti. Gli Azzurri hanno un vantaggio, ma il match è ancora aperto.
Polák entra duro. Secondo giallo. Espulso. L'Italia ha un uomo in più, è il momento di sfruttare gli spazi.
Minuto 87. Lippi si gira verso la panchina e chiama Inzaghi. Pippo si alza di scatto, si sistema la maglia. Questa è la sua occasione. Ha aspettato, ha sofferto in silenzio. Entra con il solito sguardo affamato. Lui vive per questi momenti.

Al minuto 88 arriva infatti il pallone giusto. Un passaggio filtrante lo lancia in campo aperto, lui scatta come un avvoltoio, evita il portiere con freddezza e quel sano egoismo che lo ha sempre contraddistinto. La porta è vuota.
Esplode di gioia, corre sotto la curva, le braccia al cielo. Il fischio finale arriva poco dopo. L'Italia ha vinto il girone, prima, senza sconfitte. Tre partite, due vittorie, un pareggio. Si stringono in un abbraccio collettivo. Hanno superato la prima prova, ma ora il Mondiale entra davvero nel vivo.
Egidio Ballerini