
Capitolo3: La resurrezione e oltre - Quando il sequel supera l'originale
La storia di Gesù non finisce con la crocifissione, oh no. Proprio quando tutti pensavano che il sipario fosse calato, ecco che il nostro protagonista tira fuori dal cilindro il più grande colpo di scena della storia religiosa: la resurrezione. È come se Gesù avesse detto alla Morte: "Grazie per l'ospitalità, ma ho ancora altri impegni".

Immaginiamo la scena di quella domenica mattina: le donne si avvicinano al sepolcro, probabilmente ancora assonnate e desiderose di un buon caffè, pronte a ungere il corpo come da tradizione. Ma sorpresa! La pietra è rotolata via, e la tomba è vuota come le tasche di un apostolo dopo una serata al casinò di Gerusalemme. Le reazioni sono un mix di shock, incredulità e gioia estatica. Maria Maddalena pensa inizialmente che qualcuno abbia rubato il corpo, come se il furto di cadaveri fosse l'hobby preferito dei criminali dell'antica Palestina. I discepoli oscillano tra l'euforia e il dubbio, come se qualcuno avesse detto loro di aver vinto alla lotteria, ma il biglietto fosse scritto in geroglifici incomprensibili. E le guardie romane? Beh, probabilmente stanno cercando di inventare una scusa plausibile per il loro superiore. "Ehm, signore, sa com'è... il prigioniero che dovevamo sorvegliare è... come dire... resuscitato?"
Ma la vera domanda è: cosa ha fatto Gesù in quei tre giorni tra la morte e la resurrezione? I vangeli canonici mantengono un silenzio degno di un monaco trappista su questo punto. Forse era impegnato a riorganizzare l'aldilà? O magari stava negoziando con la Morte per ottenere uno sconto sul suo soggiorno? Nei 40 giorni successivi, Gesù decide di fare una serie di apparizioni a sorpresa che farebbero impallidire qualsiasi serie TV. È come se avesse pensato: "Perché limitarsi a una sola grande entrata quando puoi averne diverse?" Lo troviamo travestito da giardiniere, che chiacchiera con i discepoli sulla strada per Emmaus come un Messia in incognito, che invita il dubbioso Tommaso a toccare le sue ferite (un po' inquietante, se ci pensiamo), e persino che aiuta i discepoli a pescare. Perché quando sei il Figlio di Dio risorto, ovviamente, la prima cosa che vuoi fare è andare a pesca! Dopo 40 giorni di queste apparizioni sconcertanti, Gesù decide che è ora di salire al cielo: l'ascensione è descritta nei vangeli con una brevità che farebbe invidia a Ungaretti. Niente effetti speciali, niente fuochi d'artificio, niente coro di angeli. È come se il budget per gli effetti speciali fosse finito dopo la resurrezione. Gli apostoli rimangono lì a guardare il cielo, probabilmente pensando: "E adesso? Abbiamo appena assistito alla partenza più spettacolare della storia e non abbiamo nemmeno fatto una foto!"
Con Gesù tornato dal Padre, gli apostoli si ritrovano con un compito non da poco: diffondere il suo messaggio in tutto il mondo. È come se Gesù avesse detto: "Okay ragazzi, ho fatto la parte difficile, ma ora tocca a voi. Buona fortuna con l'Impero Romano!" La Pentecoste arriva come un turbo boost per i discepoli. Improvvisamente, questi pescatori e esattori delle tasse si trasformano in predicatori poliglotti strafatti di Red Bull.
E così, inizia la diffusione del cristianesimo. Gli apostoli si spargono per il mondo conosciuto, predicando, battezzando e occasionalmente finendo in prigione (nessuno ha detto che sarebbe stato facile!). Paolo, ex persecutore dei cristiani, si unisce alla squadra dopo un incontro ravvicinato con Gesù sulla via di Damasco, in quello che potremmo definire il più grande cambio di fazione della storia. Le chiese iniziano a spuntare come funghi in tutto l'Impero Romano. I romani, abituati a dei che chiedevano solo sacrifici animali e qualche statua, si trovano ora di fronte a un Dio che si è sacrificato per loro: è un cambio di paradigma che fa sembrare il passaggio da MySpace a Facebook una transizione indolore. Nel frattempo, i primi cristiani devono affrontare persecuzioni, leoni affamati negli anfiteatri, e l'occasionale imperatore pazzo.
Duemila anni dopo, il cristianesimo è la più grande religione del mondo. Gesù, un falegname ebreo di un oscuro angolo dell'Impero Romano, ha lasciato un'impronta sulla storia umana più grande di qualsiasi imperatore o conquistatore. Le sue parole continuano a essere citate, dibattute e occasionalmente fraintese. La sua vita continua a essere studiata, romanzata e trasformata in film (con vari gradi di successo artistico).
Che si creda o meno nella divinità di Gesù, una cosa è certa: la storia non finisce con la crocifissione. In effetti, si potrebbe dire che è proprio lì che inizia davvero. Perché, come dimostra la storia del cristianesimo, a volte il sequel può essere ancora più incredibile dell'originale. E chi lo sa, forse tra duemila anni staremo ancora qui a discutere se Gesù tornerà per il terzo capitolo della trilogia. Dopotutto, le buone storie non finiscono mai veramente, no?
Gli Apostoli: da pescatori di pesci a pescatori di uomini
Ah, gli apostoli! Un gruppo di individui così improbabile da far sembrare i Guardiani della Galassia un'assemblea di intellettuali altamente qualificati. Eppure, sono proprio questi personaggi variopinti che Gesù sceglie come suoi discepoli più stretti e futuri diffusori del suo messaggio. Parliamo di un cast di personaggi che avrebbe fatto la gioia di qualsiasi sceneggiatore di sitcom.
Iniziamo con Simon Pietro, il pescatore diventato "roccia" su cui Gesù decide di costruire la sua Chiesa. Pietro è quel tipo di amico che dice sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato, ma con un cuore d'oro. Un giorno sta camminando sull'acqua, il giorno dopo sta rinnegando Gesù tre volte prima che il gallo canti. È l'incarnazione del detto "Dio scrive dritto sulle righe storte", e quelle di Pietro sono più storte di un pretzel.
Poi abbiamo i fratelli Giacomo e Giovanni, soprannominati da Gesù "figli del tuono". Immaginate due ragazzi così focosi che Gesù deve costantemente ricordare loro di non invocare il fuoco dal cielo sui villaggi poco ospitali. Sono come due adolescenti con poteri divini: una combinazione potenzialmente esplosiva.
Andrea, fratello di Pietro, è quello che porta sempre gente nuova al gruppo: è lui che presenta Pietro a Gesù, ed è sempre lui che trova il ragazzo con i cinque pani e due pesci per la moltiplicazione.
Matteo, l'esattore delle tasse, è il contabile del gruppo. Probabilmente è quello che tiene i conti e si assicura che Giuda non faccia sparire troppi soldi dalla cassa comune (spoiler: non fa un gran lavoro).
Parlando di Giuda Iscariota, ecco il membro più controverso del gruppo. È il tesoriere, il che già di per sé solleva qualche domanda sulla capacità di giudizio di Cristo in materia finanziaria. Alla fine, Giuda lo tradisce per trenta monete d'argento, dimostrando di essere un pessimo negoziatore oltre che un amico infido.
Tommaso, il famoso "dubbioso", è quello che fa sempre le domande scomode. È come lo studente in classe che alza sempre la mano per chiedere chiarimenti, anche quando tutti gli altri vogliono solo andare in ricreazione.
Filippo sembra essere quello pratico del gruppo. Quando c'è una folla da sfamare, è lui che fa i conti e dice a Gesù che ci vorrebbero otto mesi di salario per comprare abbastanza pane. Peccato che non abbia pensato alla soluzione "moltiplicazione miracolosa".
Bartolomeo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda Taddeo completano il gruppo. Sappiamo meno di loro, ma immaginiamo che ognuno abbia portato il suo contributo unico alla dinamica del gruppo. Forse Simone lo Zelota era quello sempre pronto a organizzare una rivolta, mentre Giuda Taddeo era il paciere che cercava di mantenere la calma.
Dopo la resurrezione e l'ascensione di Gesù, questo improbabile gruppo si trova con una missione apparentemente impossibile: diffondere il messaggio del loro maestro in tutto il mondo conosciuto. È come se un gruppo di amici del bar si trovasse improvvisamente incaricato di gestire una multinazionale. Ma ecco che arriva la Pentecoste, e questi uomini comuni si trasformano in predicatori coraggiosi e poliglotti. Pietro, che poco prima negava persino di conoscere Gesù, ora tiene sermoni che convertono migliaia di persone in un colpo solo, e gli apostoli si dividono, ognuno prendendo una direzione diversa. La tradizione ci dice che Andrea va in Grecia, Tommaso in India, Bartolomeo in Armenia, Matteo potrebbe essere finito in Etiopia, mentre Simone lo Zelota e Giuda Taddeo potrebbero aver raggiunto la Persia. Pietro, dopo aver fondato la chiesa di Antiochia, finisce a Roma, dove secondo la tradizione viene crocifisso a testa in giù, dimostrando che il suo senso del drammatico è rimasto intatto fino alla fine. Paolo, che tecnicamente non fa parte dei Dodici ma si guadagna il titolo di apostolo con il suo lavoro straordinario, diventa il grande evangelizzatore dei gentili. Passa da persecutore numero uno dei cristiani a loro più ardente difensore, un cambio di rotta così drastico che oggi lo definiremmo un epico plot twist.
Nonostante le persecuzioni, le difficoltà e l'occasionale discussione teologica accesa (il primo Concilio di Gerusalemme deve essere stato più movimentato di una riunione di condominio), gli apostoli riescono nella loro missione: il cristianesimo si diffonde in tutto l'Impero Romano e oltre, trasformandosi da piccola setta giudaica a religione mondiale.
Paolo di Tarso: da persecutore a superstar del cristianesimo
Immaginate un film dove il cattivo principale si trasforma improvvisamente nel supereroe protagonista. Ecco, questa è più o meno la storia di Paolo di Tarso, l'uomo che passa dall'essere il nemico numero uno dei cristiani a diventare il loro più fervente sostenitore. È come se Darth Vader avesse improvvisamente deciso di unirsi ai Ribelli e diventare il loro miglior pilota.
Paolo nasce come Saulo a Tarso, nell'attuale Turchia, in una famiglia ebraica benestante. Cresce studiando la Legge ebraica con la stessa passione con cui un nerd moderno studierebbe un codice di programmazione. È un fariseo zelante, il tipo di ragazzo che probabilmente correggeva gli errori grammaticali dei suoi insegnanti, e faceva la spia quando i suoi compagni di classe masticavano durante lo Shabbat. Il giovane Saulo vede questa nuova setta dei seguaci di Gesù come una minaccia per il giudaismo tradizionale. Per lui, l'idea che il Messia fosse stato crocifisso è assurda quanto l'idea che la Terra sia piatta (oh, aspetta...). Così, decide di fare ciò che ogni bravo fanatico religioso farebbe: perseguitare i cristiani con lo stesso entusiasmo con cui un cacciatore di taglie inseguirebbe un ricercato. Ma ecco che sulla via di Damasco, mentre si sta dirigendo verso la città per arrestare alcuni cristiani (probabilmente canticchiando allegramente "Un altro po' di eresia da schiacciare"), Saulo ha un incontro ravvicinato del terzo tipo con Gesù risorto: il GPS celeste aveva deciso di ricalcolare il suo percorso di vita. Questo incontro lo lascia temporaneamente cieco, il che è un po' ironico considerando che fino a quel momento era stato "cieco" in senso metaforico. Dopo tre giorni di buio (un numero che sembra avere un certo significato nel cristianesimo), Saulo recupera la vista e si converte al cristianesimo più velocemente di quanto si possa dire "epifania". Da questo momento in poi, Saulo diventa Paolo, e passa dall'essere il persecutore numero uno dei cristiani al loro più grande promoter. È come se Lady Gaga decidesse improvvisamente di diventare una suora di clausura, ma con un seguito ancora più grande. Paolo inizia a viaggiare per tutto il Mediterraneo, fondando chiese e scrivendo lettere come se fosse un influencer spirituale del I secolo. Le sue epistole sono un mix di teologia profonda, consigli pratici e occasionali sfoghi personali. I suoi viaggi missionari sono leggendari: attraversa l'Asia Minore, la Grecia e arriva fino a Roma, affrontando naufragi, lapidazioni, percosse e prigioni con la stessa nonchalance con cui un turista moderno affronterebbe un volo in ritardo. È come se fosse l'Indiana Jones del cristianesimo primitivo, ma invece dell'Arca dell'Alleanza sta cercando di diffondere il Vangelo. Paolo ha anche un talento speciale per mettersi nei guai. Ovunque vada, sembra riuscire a provocare una rivolta o un risveglio religioso. È il tipo di predicatore che fa alzare gli occhi al cielo ai suoi compagni di viaggio ogni volta che apre bocca in una nuova città: "Oh no, ecco che ci risiamo," probabilmente pensava Barnaba appena il compagno iniziava a predicare in una sinagoga. Ma nonostante (o forse grazie a) tutte queste avventure, Paolo riesce a diffondere il cristianesimo in gran parte del mondo mediterraneo. Le sue lettere diventano una parte fondamentale del Nuovo Testamento, influenzando il pensiero cristiano per i secoli a venire.
La sua teologia è complessa e a volte contraddittoria, un po' come il menu di un ristorante fusion: parla di grazia, fede, legge, e a volte sembra che stia cercando di risolvere un cubo di Rubik divino. Le sue idee sul celibato hanno fatto storcere il naso a generazioni di preti (e fatto tirare un sospiro di sollievo a generazioni di protestanti). Alla fine, secondo la tradizione, Paolo viene martirizzato a Roma sotto Nerone. Apparentemente, essere cittadino romano non ti salva quando l'imperatore decide di usarti come capro espiatorio per l'incendio della città (fatto, probabilmente, non vero!). Paolo di Tarso muore come ha vissuto: drammaticamente, e lasciando dietro di sé un'eredità che continuerà a far discutere i teologi per millenni.
Paolo di Tarso è il classico esempio di come la vita possa prendere svolte inaspettate. Inizia come un fanatico religioso determinato a distruggere il cristianesimo, e finisce come uno dei suoi più grandi promotori del Vangelo. È la prova vivente che le seconde possibilità esistono, che il cambiamento è possibile, e che a volte il miglior amico può nascere dal peggior nemico. O forse è solo la prova che Dio ha un senso dell'umorismo davvero contorto.
Le lettere di Paolo: l'email divina prima dell'invenzione di Internet
Immaginate di essere un influencer spirituale del I secolo d.C. Non avete Instagram, Twitter o TikTok. Come fate a diffondere il vostro messaggio? Semplice: scrivete lettere. E questo è esattamente ciò che fa Paolo, trasformandosi nel più prolifico scrittore di corrispondenza della storia antica, un vero e proprio guru dell'epistola.
Le lettere di Paolo sono come una serie di Netflix: drammatiche, a volte controverse, piene di colpi di scena teologici e occasionalmente difficili da seguire. Sono il tipo di lettura che ti fa dire: "Aspetta, devo rileggerlo" almeno una volta ogni paragrafo.
Iniziamo con la lettera ai Romani, il magnum opus di Paolo. È come se avesse deciso di scrivere "Teologia for Dummies" e "Filosofia Avanzata" nello stesso libro. Affronta temi come il peccato, la grazia, la giustificazione per fede, facendo sembrare "Il Signore degli Anelli" una lettura leggera e senza retroscena al confronto. È il tipo di lettera che fa sudare freddo i seminaristi e sorridere sadicamente i professori di teologia.
Poi abbiamo le due lettere ai Corinzi. Apparentemente, i cristiani di Corinto erano un gruppo particolarmente vivace, il tipo di congregazione che farebbe venire l'emicrania a qualsiasi pastore moderno. Paolo passa dal rimprovero severo all'incoraggiamento affettuoso più velocemente di quanto un adolescente cambi umore. È come se stesse cercando di gestire un gruppo WhatsApp per le mamme della quinta elementare, ma con implicazioni eterne.
La lettera ai Galati è dove, però, davvero si scalda. È come se avesse bevuto tre energy drink prima di scriverla. Qui, Paolo difende il suo apostolato e la sua versione del Vangelo con la ferocia di un leone e la precisione di un chirurgo. È il tipo di lettera che ti fa pensare: "Wow, sono contento che non sia arrabbiato con me".
Efesini, Filippesi e Colossesi formano una trilogia di lettere scritte dal carcere. Sono come un diario di prigionia, ma invece di lamentarsi del cibo, scrive alcune delle più profonde riflessioni teologiche della storia. È come se Nelson Mandela avesse scritto "Alla ricerca del tempo perduto" durante la sua permanenza in cella.
Le lettere ai Tessalonicesi sono piene di incoraggiamento e insegnamenti sulla fine dei tempi. Paolo qui si trasforma in una specie di Nostradamus cristiano, parlando di eventi futuri con un misto di certezza e mistero che farebbe invidia a qualsiasi astrologo moderno.
Le cosiddette "lettere pastorali" (1 e 2 Timoteo e Tito) sono come il manuale operativo per i leader della chiesa. Paolo dispensa consigli su come gestire una comunità cristiana con la stessa facilità con cui un life coach moderno distribuisce consigli su come organizzare il proprio armadio, solo che qui, invece di parlare di come piegare le magliette, Paolo parla di come gestire le vedove irrequiete e i falsi insegnanti.
Infine, abbiamo la lettera a Filemone, che è come un breve episodio spin-off nella serie delle lettere di Paolo. Qui, cerca di riconciliare uno schiavo fuggitivo con il suo padrone, dimostrando abilità diplomatiche che farebbero impallidire un ambasciatore dell'ONU.
Ciò che rende queste lettere così influenti è il modo in cui Paolo riesce a mescolare teologia profonda, consigli pratici e tocchi personali. È come se avesse creato un cocktail teologico perfettamente bilanciato, con un pizzico di rimprovero, una spruzzata di incoraggiamento, e una generosa dose di riflessione esistenziale.
Le lettere di Paolo hanno plasmato il pensiero cristiano in modi che probabilmente nemmeno lui avrebbe potuto immaginare. Hanno ispirato dibattiti teologici, movimenti di riforma e innumerevoli sermoni domenicali; sono state usate per giustificare posizioni contrastanti su quasi ogni questione immaginabile, dal ruolo delle donne nella chiesa al rapporto tra fede e opere.
In conclusione, le lettere di Paolo sono come una serie di bombe teologiche a orologeria, lanciate nel I secolo ma che continuano a esplodere nel pensiero cristiano fino a oggi. Sono un mix di genialità teologica, consigli pratici e occasionali sfoghi personali che hanno definito il cristianesimo più di quanto qualsiasi altro scritto, a parte i Vangeli. Sono la prova che a volte, la penna è davvero più potente della spada.
Maurizio Potenza