
Biancaneve - 2025
Data di uscita: 21 marzo 2025 (Italia), 22 marzo 2025 (Stati Uniti)
Regista: Marc Webb
Sceneggiatura: Greta Gerwig, Erin Cressida Wilson
Budget: 200 milioni di dollari
Effetti speciali: Industrial Light & Magic
Fotografia: Mandy Walker
Montaggio: Mark Sanger
Colonna sonora: Benj Pasek, Justin Paul
Scenografia: Sarah Greenwood
Costumi: Jacqueline Durran
Produzione: Walt Disney Pictures, Marc Platt Productions
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Cast: Rachel Zegler (Biancaneve), Gal Gadot (Regina Cattiva), Andrew Burnap (nuovo interesse amoroso), Martin Klebba (Grumpy)
Dalle Leggende al Folklore: L'Origine di Biancaneve
Le fiabe non nascono per consolare, ma per inquietare. Sono sussurri di paura trasformati in parole, incubi collettivi rivestiti di simboli. Prima che i fratelli Grimm la addolcissero per il consumo borghese dell'Ottocento, Biancaneve era una storia brutale, una di quelle che si raccontavano la sera, accanto al fuoco, con un monito nascosto tra le righe: attenta a chi ti osserva, attenta a chi ti invidia, attenta a chi ti vuole cancellare.
Le sue radici affondano nel folklore europeo, ma alcuni studiosi hanno cercato di agganciarla a eventi storici reali. Un'ipotesi affascinante la collega a Margaretha von Waldeck, una nobildonna tedesca del XVI secolo, morta in circostanze sospette, forse avvelenata per ragioni politiche (Eckert, 1992). Margaretha era figlia di un conte con interessi minerari, e i suoi lavoratori erano bambini deformati dalla fatica, piccoli corpi piegati sotto il peso del lavoro forzato. Ecco i nani, non più buffi compagni di avventure, ma vittime di un sistema spietato, ridotti ad esseri malformi dalla malnutrizione e dallo sfruttamento.
Ma la storia di Biancaneve ha radici ancora più oscure. Nelle versioni più antiche, la regina cattiva non era la matrigna, ma la madre stessa. Immaginate il terrore di una bambina che non può fidarsi nemmeno del grembo che l'ha generata. La maternità, che la società moderna ha santificato, era un tempo un campo di battaglia. Le fiabe lo sapevano bene: la madre non era solo colei che dà la vita, ma anche colei che può toglierla.
Pensiamo a Demetra e Persefone: la madre che scende negli inferi per riprendersi la figlia, ma che deve accettare di dividerla con Ade, signore delle ombre. Qui la maternità è possesso, è lotta, è un diritto conteso. Oppure guardiamo a Medea, la madre che uccide i propri figli per punire il marito traditore. Euripide la dipinge come un mostro e una vittima insieme, una donna che esce dai confini della maternità per trasformarsi in qualcosa di primordiale e spaventoso.
E poi c'è la regina di Biancaneve. Non è solo invidiosa. È ossessionata. Chiede allo specchio chi sia la più bella, e quando la risposta non le è favorevole, decide che la bellezza di sua figlia deve essere cancellata. Non c'è posto per entrambe. È la legge crudele della natura: il vecchio deve fare spazio al nuovo, ma il vecchio non se ne va senza combattere.
Lo specchio, poi, è un elemento affascinante. Non riflette solo un viso, ma un destino. È una sentenza pronunciata da un oracolo domestico, un fratello minore dell'onnisciente specchio di Alice o del Ritratto di Dorian Gray. Lo specchio dice la verità, e la verità è intollerabile.
E così Biancaneve viene condannata. La sua condanna è la bellezza, ma anche la sua ingenuità. Viene ingannata tre volte: con un nastro, con un pettine avvelenato, con una mela. È una vittima perfetta, una di quelle figure che il mondo delle fiabe ama sacrificare.
Ma il vero orrore della storia non è solo la regina. È il mondo che permette che tutto ciò accada. Il cacciatore, che dovrebbe proteggerla, esita, ma alla fine esegue l'ordine. I nani, che la accolgono, non le insegnano a difendersi, ma le impongono regole di obbedienza. L'intero sistema è contro di lei.
Ecco perché Biancaneve è una storia potente. Non è solo una fiaba sulla gelosia, ma una riflessione sulla fragilità e sul potere, sulla bellezza come condanna, sulla maternità come arma a doppio taglio.
E se oggi la raccontiamo ai bambini come fosse una dolce avventura, è solo perché abbiamo dimenticato le sue origini. Ma la fiaba è ancora lì, sotto la superficie. Aspetta solo di essere guardata di nuovo con occhi più attenti.


I Fratelli Grimm: Dalla Violenza alla Morale (1812)
Quando i fratelli Grimm pubblicarono Schneewittchen nel 1812, non stavano scrivendo un libro per bambini. No, stavano raccogliendo i frammenti di un'Europa rurale ancora infestata da superstizioni, leggende e racconti che mescolavano terrore e saggezza popolare. La loro Biancaneve non era l'icona dolce e passiva che il cinema ci ha consegnato, ma una ragazza la cui esistenza stessa era una sentenza di morte. La regina cattiva non si limitava a detestarla: voleva il suo cuore, letteralmente.
L'ordine al cacciatore non è solo un comando di morte, ma un rituale. La regina non chiede solo di uccidere Biancaneve, ma di portarle il cuore come prova, un cuore che poi intende divorare. Qui il mito si fa carne: il cannibalismo rituale è un tema che attraversa molte culture, da Crono che divora i suoi figli per impedirne l'ascesa, a Hansel e Gretel, dove la strega si nutre della carne dei bambini. In un mondo dominato dalla paura della carestia e dalla fragilità della vita, il corpo stesso diventa merce di scambio, nutrimento, potere.
E poi c'è la punizione. Ah, la punizione. Niente prigione dorata, niente esilio. No, i Grimm le riservano un supplizio degno di un girone dantesco: scarpe di ferro arroventate ai piedi e una danza forzata fino alla morte. Un destino che ricorda Inferno, canto XXVIII, dove i seminatori di discordia vengono squartati in eterno. Qui la giustizia non è misericordiosa, è spettacolare, teatrale, crudele. La morte della regina cattiva è un monito per chiunque osi sfidare l'ordine naturale delle cose.
Eppure, col tempo, la fiaba cambia. Perché le fiabe cambiano sempre. Le edizioni successive della raccolta dei Grimm vengono ripulite, addolcite, rese più "accettabili". Il cannibalismo scompare, la punizione si smorza, il linguaggio si fa meno brutale. La Biancaneve dei Grimm del 1857 è già diversa da quella del 1812. Ma perché?
La risposta è nella società. Nel XIX secolo, la borghesia europea stava plasmando un nuovo modello di infanzia, un'idea del bambino come essere innocente, da proteggere. Le fiabe, che un tempo erano racconti per tutti, diventano strumenti educativi. L'orrore si trasforma in morale, il sangue in insegnamento.
Ma questa censura progressiva non è solo un fenomeno ottocentesco. È un processo che continua ancora oggi. Pensiamo a come le fiabe sono state riscritte nel tempo: la Sirenetta di Andersen, che nella versione originale si dissolve nel mare senza ottenere il suo lieto fine, viene trasformata da Disney in una principessa felice. La Bella Addormentata, che nelle versioni più antiche veniva violentata nel sonno e si risvegliava solo dopo il parto, diventa una ragazza che attende un bacio d'amore.
Biancaneve non fa eccezione. Il suo mondo diventa meno crudele, la sua sofferenza più digeribile. Ma qualcosa si perde. Perché le fiabe non servono solo a rassicurare. Servono a mettere in guardia. Serve il buio, per capire la luce.
E così, mentre i Grimm addolcivano la loro versione, le fiabe perdevano un pezzo della loro anima. Ma la loro versione originale, spietata e senza compromessi, resta lì, nei libri polverosi, pronta a ricordarci che la paura e la bellezza sono due facce della
La Magia di Disney (1937): Biancaneve e il Sogno Americano
Se i fratelli Grimm avevano raccolto le fiabe dal fango della tradizione popolare, Walt Disney le lucidò fino a renderle specchi scintillanti del sogno americano. Biancaneve e i sette nani (1937) non fu solo il primo lungometraggio animato della storia: fu l'atto fondativo di un nuovo modo di raccontare, una riscrittura del passato per adattarlo al futuro.
Disney prese la fiaba e la strappò dalle sue radici oscure. Niente cannibalismo, niente scarpe di ferro arroventate, niente regina incatenata alla propria follia. Al loro posto, una principessa dalle guance rosee, un gruppo di nani dal cuore d'oro e un principe che compare giusto in tempo per il bacio salvifico. Se i Grimm avevano mantenuto una traccia della brutalità medievale, Disney la cancellò con un colpo di pennello.
Ma perché? Perché nel 1937 il pubblico non aveva bisogno di una storia di paura. Aveva bisogno di speranza.
L'America era uscita da poco dalla Grande Depressione, un periodo in cui il sogno americano sembrava sgretolarsi sotto il peso della miseria. Non c'era spazio per l'orrore: c'era bisogno di un'illusione. E Disney la fornì su un piatto d'argento. La sua Biancaneve non è una vittima, ma una creatura angelica, una Cenerentola ante litteram che canta mentre pulisce, che sorride anche di fronte alla persecuzione, che attende pazientemente il suo riscatto. In contrasto con la crudezza della fiaba originale, qui il mondo è sicuro, il dolore è transitorio e il lieto fine è inevitabile.
Questa Biancaneve, però, è profondamente diversa dalle eroine della letteratura dello stesso periodo. Se pensiamo a Via col vento (1936), Rossella O'Hara è tutto ciò che Biancaneve non è: ambiziosa, egoista, manipolatrice. Non è una creatura passiva in attesa del riscatto: è lei che crea il proprio destino, senza aspettare il bacio di nessuno. Ancora più radicale è Nora di Casa di bambola (1879) di Ibsen, che abbandona marito e figli per cercare la propria indipendenza.
Disney, invece, sceglie di non sfidare il paradigma tradizionale. La sua Biancaneve è il riflesso perfetto della donna ideale secondo gli anni '30: dolce, fragile, domestica. Non una guerriera, non un'antieroina, ma una creatura di pura bontà.
Ma Disney non si limita a modificare il personaggio. Impone un'estetica, un linguaggio, un ritmo che diventano il modello standard per le fiabe cinematografiche. Il suo stile è barocco e fiabesco, con colori morbidi e movimenti fluidi. I nani, che nei Grimm erano figure ambigue e quasi inquietanti, diventano caricature affettuose, con nomi che ne riassumono il carattere: Brontolo, Mammolo, Cucciolo. La regina cattiva, invece, è un capolavoro di design: altera, glaciale, con un volto che sembra scolpito nel marmo.
E poi c'è la mela. Se nelle versioni più antiche Biancaneve veniva ingannata più volte, qui tutto si riduce a un solo, perfetto simbolo: il frutto proibito, il peccato originale, l'inganno definitivo. La mela di Disney è un'opera d'arte visiva: rossa come il sangue, lucida come il desiderio, perfetta nella sua letalità.
Ma l'elemento più rivoluzionario del film è il suo stesso esistere. Fino ad allora, l'animazione era stata relegata a cortometraggi comici, ma Disney voleva di più. Voleva un film che avesse la maestosità di un'opera teatrale, la profondità di un romanzo, l'incanto di un sogno. E ci riuscì.
Oggi possiamo discutere su quanto la sua Biancaneve sia un modello femminile superato, su quanto il film abbia contribuito a diffondere un ideale di donna passiva e angelicata. Ma non possiamo negare che fu un capolavoro tecnico e narrativo. Un film che trasformò per sempre il modo in cui raccontiamo le fiabe.
Disney prese un racconto oscuro e lo rese un sogno. Il problema è che, nei sogni, i mostri non fanno paura. Ma nel mondo reale, aspettare un principe potrebbe non essere la strategia migliore per
Il Secolo delle Reinterpretazioni: Biancaneve Guerriera
Per secoli, Biancaneve è rimasta prigioniera della sua stessa icona: pelle candida, labbra rosse, occhi sognanti, un destino da vittima predestinata. Poi, nel XXI secolo, qualcuno ha deciso che era ora di spezzare l'incantesimo.
Il nuovo millennio ha portato con sé un cambiamento radicale nel modo di raccontare le fiabe. La principessa che attende il bacio del principe iniziava a sembrare anacronistica, quasi patetica, in un mondo in cui le donne combattevano per la loro autonomia in ogni ambito. Così, Hollywood ha preso Biancaneve e le ha messo in mano una spada. Letteralmente.
In Mirror Mirror (2012), Tarsem Singh trasforma la principessa in un'eroina ironica, sfrontata, una giovane donna che non si limita a subire il suo destino, ma lo sfida con sarcasmo e intelligenza. Il film ribalta gli stereotipi: la matrigna (una Julia Roberts deliziosamente perfida) è una manipolatrice ossessionata dal potere, ma questa volta Biancaneve non si fa ingannare a lungo. Il tono è leggero, quasi parodistico, ma il messaggio è chiaro: la fiaba può essere riscritta, e la protagonista può smettere di aspettare il suo salvatore.
Ma la vera rivoluzione arriva con Biancaneve e il cacciatore (2012). Qui la principessa non è più una fanciulla delicata, ma una guerriera. Kristen Stewart, reduce dal fenomeno Twilight, veste i panni di una Biancaneve che impugna la spada, guida un esercito e affronta la regina cattiva in un duello all'ultimo sangue. Il film si ispira più a Il Signore degli Anelli che alla versione disneyana, con atmosfere cupe, battaglie epiche e una protagonista che incarna la trasformazione del femminile nel cinema contemporaneo.
Questa nuova Biancaneve è figlia del XXI secolo. È l'erede delle eroine action come Katniss Everdeen di Hunger Games o Furiosa di Mad Max: Fury Road. Non è più la creatura eterea che canta con gli uccellini, ma una combattente che lotta per la sua sopravvivenza. Il messaggio è evidente: oggi, una principessa che aspetta il bacio di un principe è irrilevante, quasi ridicola.
Ma il cinema d'autore non ha voluto essere da meno. Blancanieves (2012) di Pablo Berger è forse la rilettura più audace: un film muto, in bianco e nero, ambientato nella Spagna degli anni '20, dove Biancaneve diventa una torera. Qui la fiaba si fonde con l'estetica espressionista di Nosferatu e Metropolis, creando un'opera visivamente straordinaria che destruttura completamente il mito. Berger non si limita a reinventare la trama, ma sovverte il tono stesso della fiaba, trasformandola in una tragedia che si avvicina più a Il labirinto del fauno che a qualsiasi versione tradizionale.
Questa nuova stagione di Biancaneve riflette un cambiamento più ampio. Nel XXI secolo, le narrazioni non possono più permettersi di proporre la stessa stanca storia di una ragazza che attende la salvezza. La fiaba diventa un campo di battaglia per le nuove idee sul femminile, sulla forza, sull'identità.
Eppure, c'è un paradosso. Nel tentativo di emancipare Biancaneve, il rischio è che si cada in un altro cliché: quello della principessa guerriera, forte a tutti i costi, trasformata in una versione femminile dell'eroe maschile classico. La vera sfida, forse, è trovare una via di mezzo: una Biancaneve che non sia né una vittima né una macchina da guerra, ma un personaggio complesso, sfaccettato, capace di essere fragile e forte allo stesso tempo.
La fiaba continuerà a mutare, perché le fiabe non sono mai statiche. E Biancaneve, dopo secoli di passività, sembra finalmente aver preso il controllo della sua storia.
La Biancaneve di Disney Plus: Tra Inclusività e Polemiche
Pochi personaggi della letteratura mondiale hanno attraversato i secoli con la stessa capacità di adattamento di Biancaneve. Da vittima sacrificale del folklore medievale a principessa disneyana, da guerriera cinematografica a icona della cultura pop, la sua storia è stata riscritta infinite volte. Eppure, ogni nuova interpretazione sembra scatenare le stesse reazioni: entusiasmo da una parte, indignazione dall'altra.
L'annuncio della nuova versione di Biancaneve, prodotta da Disney e destinata a Disney Plus, ha riacceso il dibattito. L'eliminazione del principe e la rappresentazione più inclusiva dei nani hanno diviso critica e pubblico, con alcuni che vedono nel film un necessario aggiornamento ai valori contemporanei, mentre altri lo considerano un tradimento dell'originale. Ma che cos'è davvero l'"originale" quando parliamo di fiabe?
Le Fiabe Come Organismi Vivi
Per comprendere questa ennesima metamorfosi di Biancaneve, è utile ricordare che le fiabe non sono mai state statiche. Sono organismi vivi, modellati dalle epoche e dai contesti culturali in cui vengono raccontati.
Gli dèi dell'antichità ci offrono un esempio illuminante: Zeus per i Greci diventa Giove per i Romani, con sfumature che riflettono le differenze tra le due civiltà; Iside, la dea egizia della maternità e della magia, trova una sua eco nella Madonna cristiana, simbolo di purezza e grazia. Lo stesso accade con le fiabe: ogni generazione prende la storia e la modella secondo i propri bisogni, i propri valori, le proprie paure.
I fratelli Grimm lo fecero già nel XIX secolo, trasformando racconti orali in narrazioni più adatte alla sensibilità borghese. Disney, nel 1937, fece altrettanto, eliminando gli elementi più brutali per creare un prodotto cinematografico in linea con l'ottimismo e il moralismo americano dell'epoca. Oggi, nel XXI secolo, le nuove generazioni riscrivono Biancaneve ancora una volta, cercando di renderla più inclusiva, più indipendente, più vicina ai loro ideali.
L'Illusione della Tradizione
Le critiche alla cosiddetta "agenda woke" dimenticano un punto fondamentale: non esiste una versione autentica e immutabile di Biancaneve. Ogni interpretazione è il frutto del suo tempo. Il concetto stesso di "fedeltà all'originale" è un'illusione, perché l'originale non è mai esistito in senso assoluto.
Prendiamo il caso dell'eliminazione del principe. Se guardiamo alla versione dei Grimm, il principe non ha un ruolo particolarmente attivo: è un deus ex machina che appare all'ultimo momento per risvegliare Biancaneve, ma non contribuisce realmente alla narrazione. Rimuoverlo non è una violazione della storia, ma una rilettura che mette in primo piano la protagonista.
Lo stesso vale per la rappresentazione dei nani. Nella versione del 1812, i nani non hanno un'identità individuale: sono esseri misteriosi che accolgono Biancaneve, ma restano in secondo piano. È Disney che li ha trasformati in personaggi iconici, attribuendo loro nomi e tratti distintivi. Modificarli di nuovo, oggi, non è un tradimento, ma un'evoluzione naturale del racconto.
Le Fiabe Come Specchi della Società
Le fiabe non sono solo racconti di fantasia: sono specchi della società che le produce. E ogni epoca ha bisogno di rispecchiarsi in modo diverso.
Nel Medioevo, Biancaneve era una storia di paura e sopravvivenza, un monito contro l'invidia e il pericolo rappresentato dai membri della propria stessa famiglia. Nell'Ottocento, con i Grimm, diventa una parabola moralistica sulla virtù femminile, che premia la purezza e punisce la vanità. Nel 1937, grazie a Disney, si trasforma in un sogno ottimista, in cui la bellezza e la bontà portano inevitabilmente al lieto fine. Oggi, nel XXI secolo, è naturale che la storia venga riscritta per riflettere i valori attuali: l'indipendenza femminile, la diversità, la ricerca di una rappresentazione più ampia.
Conclusione: Biancaneve è Sempre Cambiata, e Sempre Cambierà
L'idea che una fiaba possa essere "rovinata" da una reinterpretazione è priva di fondamento storico. La fiaba stessa è mutazione, adattamento, riscrittura. Chi oggi critica le nuove versioni di Biancaneve dovrebbe ricordare che la loro stessa versione preferita è già il prodotto di un'operazione di cambiamento.
Forse, più che chiederci se una Biancaneve senza principe sia accettabile, dovremmo chiederci: quale sarà la prossima metamorfosi? Perché se c'è una cosa certa nella storia delle fiabe, è che continueranno a cambiare, proprio come cambiamo noi.
Sasha Bazzov
